Il sì della Moratti? Non mettetele fretta

Francamente non si capisce per quale motivo sia a destra sia a sinistra ci sia gente che mette tanta fretta sulla scelta del candidato sindaco di Milano, gente che insiste perché i potenziali competitori nella corsa verso palazzo Marino diano subito, fin da ora una risposta: “Sì, ci sto” oppure “No grazie”. È una fretta, questa, che probabilmente ha contribuito – certo, insieme al fitto “fuoco amico” di critiche e polemiche - a bruciare la candidatura di Veronesi, avendo costretto l’illustre oncologo a prendere una decisione senza avere ancora un quadro ben chiaro della situazione.
Ma è una fretta che potrebbe produrre effetti negativi anche sulla riflessione che Letizia Moratti sta portando avanti con la serietà e il rigore che la caratterizzano. Non deve essere facilissimo decidere se accettare di competere per una carica tanto impegnativa com’è quella di sindaco di Milano (il settimo centro di spesa pubblica a livello nazionale) mentre si procede al varo di una epocale riforma della scuola, la prima vera riforma, dopo quella ormai ottuagenaria di Giovanni Gentile, violentemente contestata dalle corporazioni dei docenti (di sinistra) e dal dogmatismo pappagallesco e maccheronico degli studenti (di sinistra). No, non deve essere facile e si corre il rischio di prendere la decisione sbagliata.
D’altra parte evidentemente ormai in pochi ricordano che la candidatura di Gabriele Albertini fu lanciata solo alla fine di febbraio del 1997. È vero che, prima di annunciarla ufficialmente – indiscrezioni a parte - Silvio Berlusconi fu costretto dalle resistenze del futuro sindaco ad un lungo e asfissiante pressing, ma in quel caso i tempi erano davvero stretti e il candidato era ancora semisconosciuto dal grande pubblico (e perfino da Berlusconi), quindi aveva bisogno di una lunga rincorsa, la più lunga possibile.
Stavolta invece, stando ai nomi che circolano, abbiamo a che fare con candidati famosi, ben conosciuti dagli elettori che su di essi hanno in linea di massima le idee già ben chiare, ben rappresentativi dei rispettivi schieramenti.

Che bisogno c’è, dunque, di chiedere loro una decisione a ottobre per elezioni che si svolgeranno non prima della fine di aprile, cioè fra sei o sette mesi? Forse per avere il tempo, nel caso di un fermo ma cortese diniego, di lanciare un’alternativa? Il tempo c’è ed è abbondante: ripeto, pensate al caso di Albertini nel ’97.
Insomma, che fretta c’è? E comunque, vi fidate di più di chi pensa a lungo prima di decidere o di chi butta là un sì o un no in tutta fretta? Per rispondere prendetevi tutto il tempo che vi serve.

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