Con il «Sacre» e il «Bolero» ha aperto una strada nuova

Maurice è morto, ha raggiunto l'adorato Jorge Donn, è tornato all'appassionante tu per tu con Gianni Versace. Sta danzando nel mondo dell'assoluto assieme ai tanti ballerini plasmati a sua immagine e somiglianza. Ciascuno un compagno di viaggio, un figlio, una musa. A noi questa morte toglie la seduzione inquietante degli occhi celesti che il padre eterno aveva creato apposta per lui, il colore caldo della voce, il calore luminoso di un'amicizia che riusciva sempre a convincere che finirà bene, che la vita è un regalo.
Con le sue compagnie ha segnato mezzo secolo di costume teatrale. Ha firmato affreschi grandiosi per consegnarli agli eroi del Ballet du XXème Siècle. È passato dall'astratto al narrativo, dalla musica romantica al concreto dei due Pierre del Novecento: Henry e Shaeffer. Ha esaltato la prepotenza della danza maschile contrapponendola alla filigrana dei disegni femminili. La sua coreografia, sulle prime forgiata dai venti parigini dei tempi di Sartre, ha trovato presto la cifra di un teatro innestato da un lato sulla magnificenza tematica, e dall'altro su una sorta di minimalismo. Le due anime delle filosofie più sue, induismo e zen.
La prepotenza creativa pulsa soprattutto nei due titoli che lo rivelano a sé stesso. Il Sacre per Bruxelles ('59) che gli merita la fondazione del Ballet du XXème Siècle appoggiato alla Monnaie e Bolero, il biglietto da visita, il cult corteggiato dalla cinematografia. Orgiastico e collettivo il Sacre, individualistico Bolero. Inno all'amore uno e all'eros l'altro. Fondamentale la sfida di Le Sacre du Printemps che sconvolge la quieta routine dei nostri teatri indicando alla vecchia accademia una via nuova che tuttavia non cessa di utilizzarla potenziandola. Mix di istrionismo e naturalezza Béjart intuisce e sviluppa le capacità del suo popolo multietnico. Fedele a sé e alle sue folgorazioni lega il nome a pochissime compagnie, l'una proiezione dell'altra: Ballet de l'Étoile, Ballet Théâtre de Paris, Ballet du XXème Siècle. Gruppo che rimarrebbe il punto d'arrivo se non si trasferisse in Svizzera con relativa nascita, nell’87, del Béjart Ballet Lausanne.
Sui primi del Novanta Maurice adotta il Tokyo Ballet. Nasce la fulgida epicità di The Kabuki. Béjart? L'interminabile tourbillon di una valse à mille temps, la mutevolezza di pulsioni intellettuali e esaltazioni estetiche, l'impatto emotivo, l'intuizione di un attimo, il destino di un incontro, il maître à penser che unisce e divide. L'artista che vive la creazione come psicodramma personale o messaggio politico universale.

L'uomo che decide di stare in scena sino all'ultimo, quando dal letto d'ospedale puntualizza la coreografia dell'addio, Le tour du mond en 80 minutes. Il suo tour, iniziato ieri, vagherà imprevedibile per mille mondi e durerà in eterno. E chi l’ha amato potrà iniziare con lui un fantastico viaggio virtuale.

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