Il saggio Teodori e quella destra che non ha voglia di essere clericale

Parlamentare radicale per tre legislature, laico risoluto e polemista agguerrito, Massimo Teodori sembra avere una grande nostalgia degli anni in cui la vita politica italiana fu dominata da un partito confessionale, la Dc. Si chiede infatti nel suo ultimo libro - Contro i clericali. Dal divorzio al testamento biologico la grande sfida dei laici (Longanesi, pagg. 260, euro 16) - «perché nella prima Repubblica furono approvate leggi civili come divorzio e aborto, e invece oggi, che siamo tutti più laici, si moltiplicano provvedimenti ultraclericali». Insomma si stava meglio. E il vecchio adagio vale, per Teodori, anche nell’universo radicale, che s’è andato via via deteriorando. Infatti: Marco Pannella era divenuto un protagonista politico di peso, ma «mise progressivamente in sordina i diritti civili e l’unità laica che avevano riscosso tanto successo per rivolgersi verso obiettivi velleitari... In una progressiva regressione personalistica era convinto, o almeno si comportava come se lo fosse, che solo la forza della sua persona potesse mutare la politica e indurre gli interlocutori ad abbracciare le sue idee».
Teodori non è schierato a sinistra, tutt’altro. Su molti temi ha adottato posizioni vicine a quelle di Forza Italia, e rivolto critiche vivaci ad un certo utopismo buonista dell’Ulivo e dintorni. Ma - ritenendosi liberale, e nello stesso tempo intransigentemente laico - deplora quelli che gli sembrano cedimenti del centrodestra alla volontà della Chiesa. Vede in molte dichiarazioni del Cavaliere l’espressione d’un clericalismo sotterraneo (o cripto-clericalismo). Ricorda i termini dell’appello elettorale che Berlusconi rivolse il 5 aprile 2006 agli italiani. «Io non penso che un credente possa dare il voto a chi manifesta certe intenzioni contro la religione cattolica e la Chiesa. Vogliono eliminare la religione dalle scuole, il crocefisso dalle aule, l’8 per mille per la Chiesa cattolica e il Concordato tra lo Stato italiano e il Vaticano». In questi termini il Cavaliere lanciò una sfida alla coalizione di sinistra «che non tiene in considerazione la famiglia che per noi invece è sacra»: ma lo fece, secondo Teodori, in termini d’eccessivo ossequio all’autorità ecclesiastica.
Preso così l’avvio, Teodori si scaglia innanzi tutto con particolare severità contro chi, avendo un tempo condiviso con fervore idee laiche, ora aderisce alle parole del Papa e dei vescovi. Così Marcello Pera, così Gaetano Quagliariello, così Giuliano Ferrara «l’intellettuale più lucido trasmigrato dalle sponde comuniste e socialiste a quelle neo-tradizionaliste».
Lo scontro tra la concezione laica e quella dei credenti senza dubbi, vecchi o nuovi, divenne furioso con il «caso Englaro». Non ne scrivo imparzialmente perché fui tra le poche firme del Giornale che parteggiarono allora per il padre di Eluana. Lo feci in base a una considerazione banale. Sentendosi raccontare vicende come quella di Eluana tutti, ma proprio tutti, reagiscono dicendo «meglio che muoia!». Come mai questa invocazione di buon senso diventava, una volta approdata a un dibattito pubblico, incitamento all’omicidio? Teodori, posto di fronte a questo stesso problema, addebita a Berlusconi, al ministro ex socialista Maurizio Sacconi e alla sottosegretaria ex radicale Eugenia Roccella l’aver deliberato un decreto legge per bloccare l’esecuzione della sentenza che dava il via libera all’interruzione dell’alimentazione. Per lui un ennesimo tradimento di ex laici.

Ripensandoci, credo che sia i laici sia i devoti, sia la legge sia il governo abbiano sbagliato portando sul terreno delle polemiche, e trattando con il linguaggio delle polemiche, una grande tragedia umana e familiare.

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