Ci sono persone che fanno fatica a riconoscere ed esprimere adeguatamente ed efficacemente i propri stati emotivi perché affette da alessitimia.
Questa loro incapacità provoca tante difficoltà quando si rapportano con il mondo esterno e soprattutto con le altre persone. Il termine alessitimia deriva dal Alexithymia. Questo è un termine coniato per la prima volta da Peter Sifneos nella seconda metà degli anni Settanta per definire un particolare disturbo cognitivo-affettivo che comporta difficoltà nella comunicazione a parole delle proprie emozioni e stati d’animo.
Che cos’è e come riconoscere l’alessitimia
Su questo disturbo psicologico che spesso viene confuso con l’anaffettività facciamo più chiarezza con lo psicologo Francesco Minelli, esperto in disturbi ansiosi, depressivi e difficoltà relazionali.
Come potremmo definire l’alessitimia?
Alessitimia è un termine ampio per descrivere, la difficoltà a identificare diversi tipi di emozioni, la limitata capacità di comprenderne le cause e la grande difficoltà ad esprimerle. Le persone che ne soffrono mostrano una grande difficoltà a trovare le parole per descrivere ciò che provano, così come a distinguere le emozioni dalle sensazioni corporee di eccitazione. Questi individui hanno, inoltre, capacità limitate a livello immaginativo, scarsità di fantasie, uno stile di pensiero focalizzato sugli eventi esterni e una tendenza all'evitamento delle esperienze interne. L'alessitimia è spesso associata ad altre condizioni preesistenti di salute mentale come la depressione e l'autismo.
In cosa differenzia con l’anaffettività con la quale spesso è confusa?
L'anaffettività non è necessariamente un disturbo ma può essere visto come un sintomo, una sorta di campanello di allarme per situazioni psicologiche fuori dalla norma e che hanno a che fare con le relazioni interpersonali. Al contrario dell'alessitimia, l'anaffettività è uno stato momentaneo che tende a risolversi spontaneamente (anche se non sempre). Chi ne soffre è capace di identificare le emozioni ma ha difficoltà a provarle spesso per difendersi dalla sofferenza in ambito relazionale. Alla base ci sono spesso i traumi dell'infanzia (o dell'adolescenza), i quali possono portare a una visione distorta della realtà, a reprimere le emozioni e così ad avere difficoltà a sentirle o ad esprimerle.
Dove si possono rintracciare le cause?
C'è una possibilità che l'alessitimia sia genetica. Questa condizione è stata individuata soprattutto in persone che hanno subito traumi durante l'infanzia. Subire maltrattamenti, violenze o abusi in questa fase della vita può cambiare la struttura del cervello e così rendere molto difficile sentire e identificare le emozioni anche in età adulta. Il danno cerebrale più importante sembra essere a carico dell'insula. Questa parte del cervello ha un ruolo importante nelle capacità sociali, nell'empatia e nel riconoscimento ed espressione delle emozioni. Tra le cause sono stati fatti anche collegamenti con l'autismo. Alcune ricerche hanno mostrato che oltre la metà delle persone con autismo sperimenta anche l'alessitimia. In pratica, non sembra essere l'autismo alla base della mancanza di empatia ma l'alessitimia stessa. Altre cause possono essere individuate in alcuni disturbi neurologici quali epilessia, Alzheimer, sclerosi multipla, Parkinson, traumi a livello cerebrale, ictus.
Come si riconosce un soggetto alessitimico?
Dato che questa condizione è associata a un'incapacità di esprimere le emozioni, la persona che ne soffre può sembrare apatica o “distaccata”. Inoltre, nei contesti sociali tende a mostrare alcuni sintomi specifici quali confusione, rabbia, sensazione di vuoto, difficoltà a leggere le espressioni facciali, mancanza di comportamenti affettivi (fisici e non), mancanza di reazioni impulsive, sintomi di ansia e/o panico. Ovviamente però, come sottolineo sempre, per poter effettuare una diagnosi è sempre necessario rivolgersi ad uno specialista psichiatra e/o psicoterapeuta.
Quali sono le principali difficoltà e i fattori a rischio che un soggetto alessitimico riscontra nell’approccio con l’altro?
Le principali difficoltà di chi soffre di questo disturbo sono legate a come l'altro interpreta i suoi comportamenti. La tendenza è che l'alessitimico abbia comportamenti passivo-aggressivi, menta su ciò che prova o nasconda le sue emozioni per motivi più profondi. Gli individui alessitimici sono spesso confusi quando vengono accusati di non dare abbastanza supporto o vicinanza emotiva, perché non riescono davvero a comprendere cosa significa farlo. Alcuni partner non riescono a concepire la possibilità che l'altro sia incapace di sentire o di esprimere le emozioni. L'alessitimia è perciò collegata a una povera qualità di vita matrimoniale e a un alto tasso di divorzio.
Come trattare l’alessitimia
Come e in che misura l’educazione emotiva attraverso un approccio di psicoterapia può essere d’aiuto per un soggetto alessitimico?
La psicoterapia può essere un primo passo importante per lavorare sul disturbo alessitimico. La psicoeducazione può aiutare l'individuo a costruire una narrativa coerente e ad esplorare, seppur a livello cognitivo, le dimensioni emotive. L'obiettivo può essere quello di sviluppare un vocabolario delle emozioni, imparare a leggere quelle degli altri e a capire il collegamento tra l'alessitimia e le prime esperienze di vita. Tutte le psicoterapie che includono tecniche specifiche per incrementare la consapevolezza emotiva, così da integrare gli elementi simbolici delle emozioni, possono essere fondamentali per ridurre i sintomi del disturbo. I cambiamenti più importanti possono essere cominciare a dare un significato all'esperienza emotiva, imparare a collegare le emozioni agli eventi, iniziare a costruire una narrativa emotiva coerente.
Parenti e amici come dovrebbero approcciarsi ad un soggetto alessitimico?
Partiamo dal fatto che approcciarsi a chi soffre di questo disturbo non è affatto semplice e necessita di molta pazienza. Comprendere il disturbo e come si manifesta è il primo passo. Ciò significa rendersi conto che i segnali mancati, le reazioni “piatte” e distaccate e la mancanza di riconoscimento emotivo hanno vere e proprie origini neurobiologiche e psicologiche. Non punire, deridere o condannare la mancanza di risposte emotive ed avere pazienza è la strada da seguire, anche se può essere molto stancante. È molto importante spiegare i propri bisogni e cercare di aiutare l'altro a comprenderli.
Un altro modo è aiutarlo a dare un nome alle emozioni, ad esempio “sembri arrabbiato, c'è qualcosa che ti preoccupa?” o fargli comprendere che c'è sempre un fattore stressante che causa reazioni emotive. La scelta migliore è però sempre quella di far capire a chi ne soffre che è importante iniziare un percorso psicoterapeutico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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