Attenzione al "gene spazzino" che fa ammalare i reni

A scoprirlo per la prima volta nel 2009 Andrea Ballabio, direttore del Tigem di Pozzuoli e professore di Genetica medica all'Università Federico II di Napoli

Attenzione al "gene spazzino" che fa ammalare i reni

Interessa in prevalenza i soggetti di età superiore ai 40-50 anni appartenenti al sesso maschile. Il tumore al rene, risultato di un processo neoplastico di natura maligna che prende l'avvio in una cellula renale, è l'ottava forma cancerosa più frequente e ogni anno colpisce più 10mila individui. Secondo recenti indagini scientifiche ne esisterebbero oltre 200 tipi differenti. Quello maggiormente diffuso (80% circa dei casi) è il carcinoma renale che ha origine a livello dei tubuli prossimali o distali del nefrone. La seconda tipologia più nota è il carcinoma a cellule transizionali che si forma a partire dalle cellule costituenti gli epiteli di transizione. La prognosi dipende dalla tempestività della diagnosi. Per le persone con neoplasia renale identificata a uno stadio precoce, il tasso di sopravvivenza a 5 anni è compreso tra il 65 e il 90%. Oggi, una nuova speranza potrebbe rilucere anche nel cosiddetto 'gene spazzino' TFEB.

Non sono ancora note le cause delle mutazioni che innescano il tumore ai reni. Esistono, tuttavia, fattori di rischio in grado di favorirne la comparsa. Innanzitutto l'obesità e il sovrappeso. Queste due condizioni, infatti, innalzano il livello di estrogeni nel sangue e ciò rappresenterebbe uno stimolo allo sviluppo delle cellule neoplastiche. Sotto la lente di ingrandimento anche il fumo di sigaretta e l'esposizione prolungata ad alcuni inquinanti chimici (asbesto, cadmio, benzene). Da non sottovalutare, poi, la presenza di una grave malattia renale o di altre patologie, tra cui la sclerosi tuberosa e la sindrome di Von Hippel-Lindau. Altri fattori di rischio includono l'ipertensione, l'uso prolungato di farmaci antinfiammatori e antidolorifici, la presenza di un linfoma.

Agli esordi il tumore al rene è asintomatico. Le prime manifestazioni iniziano a comparire solo quando la massa cancerosa ha raggiunto determinate dimensioni. A questo punto vari sono i segni clinici: sensazione di protuberanza o di rigonfiamento su un fianco, dolore a livello dello stesso, ematuria (sangue nelle urine), inspiegabile perdita di peso, anemia. Ancora febbre prolungata, sudorazione notturna, ipertensione, presenza di edema a livello delle anche e/o delle gambe, ricorrente senso di fatica e di malessere generale. Ad uno stadio avanzato la neoplasia può infiltrarsi nei tessuti limitrofi e generare metastasi che raggiungono numerose parti del corpo, in particolare ossa e polmoni.

Esisterebbe una nuova speranza per i malati di cancro e cisti renali e il primo passo per la sua concretizzazione è un articolo pubblicato sulla rivista Nature. Queste patologie potrebbero insorgere a causa del malfunzionamento di un gene definito TFEB che, normalmente, svolge il ruolo di 'spazzino' dei prodotti di scarto delle cellule umane. Esse, al pari di tante piccole fabbriche, hanno compiti specifici e permettono all'organismo di sopravvivere. A scoprire il gene nel 2009 Andrea Ballabio, direttore del Tigem di Pozzuoli (Napoli), l'Istituto Telethon di genetica e professore di Genetica medica all'Università partenopea Federico II. "Il gene TFEB - spiega lo studioso - controlla il processo di 'pulizia' cellulare perché sovraintende al lavoro di organelli cellulari chiamati lisosomi".

Può, tuttavia, accadere che varie mutazioni del gene portino questo sistema di 'smaltimento rifiuti' a funzionare poco. In tal modo i prodotti di scarto 'intossicano' la cellula, dando così origine ad alcune malattie genetiche rare e a patologie più diffuse come il morbo di Parkinson o l'Alzheimer. Esiste poi l'ipotesi opposta, ovvero che il sistema lavori troppo e ciò avviene in altri disturbi rari (sindrome di Birt-Hogg-Dubé) e in certe forme neoplastiche. La superattivazione del gene TFEBE è in grado di condurre alla formazione di cisti renali (il cosiddetto rene policistico) che possono degenerare in tumore. Al momento tutto questo è stato notato in animali da esperimento e da qui arriva una speranza di cura.

"Quando si riesce a spegnere questo gene iperattivo - illustra Ballabio - si ottiene una guarigione completa dal rene policistico e dai tumori renali. Il prossimo passo sarà quello di andare a cercare molecole per bloccare in modo selettivo e modulabile l'attività di questo gene TFEB".

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