Un cancro a basso rischio va davvero chiamato cancro?

È giusto chiamare cancro anche tumori a bassissimo rischio di metastasi o recidiva? Un recente articolo apparso sul British Medical Journal mette a confronto due opinioni

Un cancro a basso rischio va davvero chiamato cancro?

Esistono alcuni tipi di cancro che hanno un comportamento molto favorevole e un rischio di dare metastasi o recidiva estremamente basso. Li chiamiamo cancro perché sono, in effetti, delle proliferazioni cellulari incontrollate. Ma la loro ottima prognosi giustifica i risvolti psicologici e sociali che la parola cancro si porta addosso oppure dovremmo chiamarli in un altro modo?

Se lo chiede un articolo apparso di recente sul British Medical Journal che mette a confronto le opinioni di due esperti, Laura J. Esserman, direttrice del Carol Franc Buck Breast Cancer Center di San Francisco e Murali Varma, patologo dell'University Hospital of Wales di Cardiff.

Esserman porta le argomentazioni a favore del sì (dovremmo smettere di chiamare cancro le neoplasie a bassissimo rischio).

Una neoplasia a basso rischio non è una malattia pericolosa, dice Esserman, e non giustifica il trauma e lo stress che comporta sentirsi dire "hai un cancro". Il problema sarà peraltro sempre più frequente in futuro vista la diffusione degli screening per la diagnosi precoce, come quello per il tumore della mammella, e il miglioramento delle prestazioni degli strumenti diagnostici radiologici, come la mammografia, che permettono di diagnosticare malattie in fase sempre più precoce.

Malattie a basso rischio dovrebbero essere considerate piuttosto fattori di rischio per il cancro, dice Esserman, non già cancro di per sé, e come tali dovrebbero essere trattate, evitando interventi chirurgici demolitivi o terapie farmacologiche spesso tossiche e in ogni caso sproporzionate rispetto al rischio reale (il cosiddetto sovratrattamento). Lo sforzo a migliorare l'esito dei trattamenti va piuttosto concentrato sulle neoplasie ad alto rischio, quelle davvero pericolose.

Varma porta invece le argomentazioni a favore del no (è giusto continuare a chiamare cancro anche le neoplasie a bassissimo rischio).

Il rischio è un continuum, dice Varma, ed è difficile definire con precisione la soglia sotto la quale un tumore è davvero a basso rischio: ogni classificazione deriva inevitabilmente da giudizi arbitrari. Porre molto in basso la soglia oltre la quale decidiamo di trattare una malattia ci espone, è vero, al rischio di sovratrattmento, ma porla troppo in alto ci espone al rischio opposto, forse peggiore, di non trattare malattie pericolose.

La diagnosi di cancro, poi, viene fatta in genere con una biopsia, prelevando cioè un pezzetto del tumore: se quel pezzetto mostra un tumore a basso rischio, è plausibile che anche la parte di malattia rimasta in sede sia ugualmente a basso rischio. Plausibile però non significa certo: potrebbe esserci, nella zona non biopsiata, una zona di malattia a prognosi peggiore e non è prudente correre il rischio di lasciarla in sede.

Introdurre nuovi nomi e classificazioni, conclude Varna, per malattie già note genera confusione: anziché focalizzarsi su dettagli semantici, meglio puntare sulla formazione del grande pubblico.

Spiegare che la parola cancro, a seconda dei casi, può significare ora una malattia assai pericolosa, come istintivamente si pensa e come effettivamente a volte è, ora una malatta a buona prognosi, assai meno pericolosa, ad esempio, di un diabete o di una bronchite.

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