Nonostante la pandemia, a breve inizieranno le Olimpiadi di Tokyo e saremo quotidianamente immersi in decine di discipline diverse costate anni di fatica agli atleti che vi parteciperanno. Negli anni, però, le loro prestazioni si sono evolute in meglio tant'é che ogni quattro anni assistiamo a numerosi record che vengono ritoccati.
Come migliorare le prestazioni
Per fare un esempio emblematico, il 10 settembre 1960 il vincitore etiope della maratona, Abebe Bikila, aveva segnato il record di 2 ore 15 minuti e 16 secondi e 50 anni dopo, il 12 ottobre 2019, il keniano Eliud Kipchoge ha percorso la stessa distanza in un'ora, 59 minuti e 40 secondi diventando il primo atleta al mondo a completare una maratona in meno di due ore. Cos'è successo nel mezzo secolo che separa le due imprese? Scienza e medicina si sono fuse iniziando un sodalizio sempre più stretto: oltre ad allenatori e preparatori atletici, oggi ci sono fisiologi, fisiatri, fisioterapisti, cardiologi, psicologi.
In aggiunta a bilancieri, pesi e panche, nelle palestre degli atleti d'elite si trovano computer e telecamere ad alta risoluzione. Spesso, come ormai avviene nel calcio, indossano sensori per analizzare la respirazione, il battito cardiaco, la pressione arteriosa e vestono indumenti speciali progettati per offrire la minima resistenza all'aria e all'acqua. Tutta questa tecnologia, senz'altro, aiuta a migliorare le prestazioni ma non è l'unica risposta. Anzi.
Il "segreto" degli atleti
Alle Olimpiadi, ma anche ai mondiali ed in tutte le gare internazionali, anche un decimo di secondo fa la differenza tra una medaglia d'oro ed una d'argento ma anche soltanto per salire sul podio. Per migliorare le prestazioni degli atleti, bisogna conoscere a fondo i meccanismi fisiologici che regolano la risposta del corpo agli sforzi estremi: ecco perché la comunità scientifica ha identificato i principali responsabili di questi meccanismi nei mitocondri, le "centrali energetiche" delle cellule, che usano l'ossigeno per bruciare grassi e carboidrati e generare Atp (adenosintrifosfato), la "benzina" dell'organismo.
Gli atleti più forti al mondo delle discipline di resistenza (come la maratona), oltre a seguire un'alimentazione corretta ed ad un allenamento costante, è logico che possiedano molti più mitocondri rispetto alle persone non allenate o agli specialisti in discipline "esplosive", come per esempio la corsa sui cento metri. «Da tempo stiamo studiando per capire meglio i meccanismi con cui i mitocondri si adattano all'esercizio e all'allenamento» afferma a Repubblica Francesca Amati, professoressa di Fisiologia all'Università di Losanna - e come e perché diventano sempre più efficienti».
È stato osservato che l'allenamento aumenta il "numero" dei mitocondri muscolari ed esiste una correlazione lineare tra la capacità fisica di un individuo e la sua massa mitocondriale. «Inoltre, gli atleti allenati sono in grado di conservare energia sotto forma di 'globuli' di grasso vicino ai mitocondri. È come se avessimo il frigorifero in cucina anziché in soggiorno: le riserve di cibo sono più vicine a dove è necessario averle a disposizione», aggiunge la docente.
Quanto durano i mitocondri
Per attivare questi meccanismi ci vuole tempo, impegno e soprattutto costanza: i mitocondri muscolari, infatti, hanno un'emivita di circa una o due settimane ed in assenza di allenamento tornano velocemente ai livelli normali. Inoltre, c'è una specie di assuefazione: più ci si allena, più è necessario alzare l'asticella per ottenere ulteriori miglioramenti.
È per questo che spesso gli atleti si allenano ad alta quota (mille, duemila metri) dove il corpo può abituarsi a una minore concentrazione di ossigeno aumentando il numero di globuli rossi e migliorando la funzionalità cardiaca. Queste scoperte, oltre a migliorare le prestazioni degli atleti, potrebbero anche aiutare nello sviluppo di trattamenti per malattie legate a disfunzioni mitocondriali tra cui diabete, obesità, cancro, problemi cardiovascolari e disturbi polmonari.
Sport e tecnologia si fondono
E poi, come accennato all'inizio, anche la tecnologia fa la sua parte: si fa ormai uso dei big data e dell'intelligenza artificiale per analizzare le prestazioni degli atleti e modificare il piano di allenamento oltre a conoscere la condizione fisica ed evitare sovraccarichi che potrebbero portare a infortuni ancor prima che l'atleta ne abbia contezza. Una ricerca pubblicata nel 2019 ha mostrato che l'uso dell'intelligenza artificiale e dei big data può migliorare le prestazioni dei team del 28% e quelle individuali del 17%.
«Sono importanti. Con il Coni abbiamo fatto uno studio: abbiamo usato i sensori per calcolare ogni movimento e monitorare la tecnica. Con le fotocellule abbiamo una precisione maggiore per prendere i tempi della corsa», afferma a Repubblica Luminosa Bogliolo, atleta e ostacolista fra le più forti in Italia del gruppo sportivo "Fiamme Oro" della Polizia di Stato qualificata per Olimpiadi di Tokyo. I sensori, però, se non sono uniti ad una dieta perfetta diventano inutili.
«L'alimentazione, infatti, è uno dei punti più importanti per noi atleti. Non è solo questione di peso, di mantenersi in forma, ma di stare bene. Non dobbiamo mangiare troppo poco né troppo, sicuramente non dobbiamo mangiare troppo condito, anche se adoro l'olio extravergine d'oliva, elemento insostituibile della dieta mediterranea. Un ruolo chiave ce l'ha come sempre la psiche.
Nello sport puoi essere forte quanto puoi per genetica o preparazione fisica, ma se a livello psicologico hai dei blocchi o dei problemi, non riesci a progredire neanche con gli allenamenti e la dieta giusta», conclude l'atleta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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