San Siro fa poker tra pozze, barriere e rigori

Jair segnò tra le pozzanghere nel '65. L'arbitro Lo Bello e la punizione in Celtic-Feyenoord

San Siro fa poker tra pozze, barriere e rigori

E quattro. San Siro apre i suoi cancelli all'Europa per la quarta volta. È finale, come nel '65, come nel 70, come nel duemila e uno. La coppa torna nella sua casa, là dove Inter e Milan tengono le chiavi e la storia italiana ed euromondiale. Giusto, dunque, che lo stadio ospiti la partita più illustre, da sempre.

Zinedine Zidane e Diego Simeone erano ancora nel grembo di Giove, nel senso di nemmeno nati e concepiti, quando Jair, tra le pozzanghere di San Siro segnò il gol della vittoria sul Benfica grazie a una paperissima di Costa Pereira che poi lasciò il posto al compagno di difesa, Germano (al tempo non c'era il portiere di riserva). Era il ventotto di maggio del Sessantacinque e, allora, nessuno si occupava e preoccupava dello stato del terreno di gioco, argomento volgaruccio di questi ultimi giorni, messo in campo, si può proprio dire, da uno sconosciuto, fino a quel momento, dirigente Uefa con la presunzione di conoscere tutto sui fili d'erba altrui. San Siro era nero di folla, ottantacinquemila sotto la pioggia di maggio e la sera fu dolcissima per i nerazzurri che quella notte indossavano la maglia di riserva, bianca con la fascia orizzontale bicolore. Massimo Moratti aveva appena compiuto vent'anni, suo padre aveva costruito l'Inter della leggenda.

Era una coppa in bianco e nero, il colore in tv sarebbe arrivato con il mondiale messicano, cinque anni dopo, quello della finale contro il Brasile e nel mese di maggio, il giorno 7, si giocò una finale, di nuovo a San Siro, ma non riguardava più gli italiani, fatta eccezione per un uomo solo al comando, ahilui: Concetto Lo Bello arbitro di Celtic Feyenoord e protagonista indiscusso del vantaggio dei cattolici di Glasgow. L'arbitro siciliano, infatti, stazionò non a fianco ma alle spalle (!) e in posizione centrale della barriera del Feyenoord sulla punizione calciata da Tommy Gemmell, ingannando il portiere olandese. Roba da ufficio inchieste, la prova tivvù resiste nel tempo e le polemiche arbitrali contemporanee sono ridicole in rapporto a quel clamoroso episodio. Lo Bello, infatti, si scansò pure, con movimento goffo, sulla traiettoria e i carabinieri dovettero schierarsi e piantonare la zona dei distinti occupata dagli inferociti tifosi biancorossi per il furto italoscozzese. Due minuti dopo arrivò il pareggio del capitano Israel e si andò ai supplementari. Venne il momento dell'eroe, lo svedese Ove Kindall, fu suo il gol, grazie a una gaffe di Mc Neill, invasione di campo pacifica ma dei fotografi, uno, due, dieci, venti e fu la prima coppa vinta da una squadra olandese.

Terzo tempo, terza finale, giorni ormai nostri, Bayern Valencia, maggio ventitrè del duemila e uno, San Siro con tre anelli, finale tutta di rigori, tre nei 90', uno a testa, del pareggio, più uno sbagliato dai tedeschi e, dopo i supplementari, il solito torneo con l'errore decisivo di Pellegrino per gli spagnoli e la vittoria per 5 a 4 dei bavaresi. Non una grande partita, come spesso accadeva all'ultimo giro di un torneo nuovo, champions league, a gironi: in quella edizione erano tre le italiane, Lazio, Milan e Juventus, tutte fuori prima della fase finale.

Lo stadio è sempre quello, rivisto ma non corretto, ideale teatro di grandi storie e grandi narrazioni.

Due spagnole, non una corrida, nemmeno un flamenco andaluso ma la sfida madrilena tra madridisti e materassai, nella città capitale delle coppe, dieci coppe dei campioni in salotto più tutto il resto dell'argenteria. L'Expo del football.

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