SCALA Pappano dirige l’orchestra Santa Cecilia

Il maestro torna sul podio del Piermarini dopo 2 anni. In programma Strauss, il soprano è Renée Fleming

Elsa Airoldi

Fino al 2 aprile 2005, idi di marzo del regno di Riccardo Muti, per quasi tutti quello di Antonio Pappano era un nome praticamente sconosciuto. Poi, nei giorni della frenetica caccia alla bacchetta e dell’altrettanto frenetico toto-direttore musicale, ecco Pappano diventare il Leitmotiv di pochi intimi. Poi lui, che nel frattempo diventa direttore musicale di Santa Cecilia, finalmente si materializza. Tra l’élite del Tuscan Sun di Cortona e ovviamente a Roma. Dove, osannato come «la» rivelazione da pubblico e critica, chiude la stagione 2004 con il Requiem Tedesco di Brahms e apre quella 2005 con il War Requiem di Britten. Cui implacabile aggiunge poco dopo il tocco del Requiem di Verdi. Una mania, il biglietto da visita molto sinfonico e molto nordico di uno che cerca il Sud e un’alternativa all’impianto operistico della sua vita (ha diretto l’Opera di Oslo, di Bruxelles e, a tutt’oggi, la Royal Opera House di Londra). Oggi Antonio Pappano è anche nostro. Non solo dirige alla Scala (c’è un precedente del ’94), ma si porta dietro l’Orchestra di Santa Cecilia, il soprano Renée Fleming e un tutto Strauss comprensivo di Till Eulenspiegel, Finale da Capriccio, Vier Letzte Lieder e Prima sequenza di Walzer dal Rosenkavalier. La voce è amabile. L’accento un mix anglo-beneventano. Le argomentazioni paciose. Racconta la nascita in Inghilterra, 47 anni fa, il primo lavoro a dieci anni, seduto al piano ad accompagnare il padre tenore e i suoi allievi. Il trasferimento negli States dove, figlio d’arte predestinato, diventa il pianista jolly di ogni situazione, dalla sinagoga al cocktail-loungue. La direzione d’orchestra è solo un caso sollecitato da uomini e eventi e per lui, che avrebbe continuato volentieri il lavoro di sostituto, inizia presto una carriera da capogiro. Dal 2002 Pappano è al Covent Garden. Antonio detto Tony, ovvero «il caso» in fatto di direttori, non si mette in vetrina e non si nasconde. Confessa candido di non averla quasi studiata la direzione d’orchestra, ma, assistente di tanti direttori, d’essersi accorto di riuscire a dirigere quando ci ha provato. La Scala gli sarebbe piaciuta. Ma aveva già Londra e Roma. E tra le due cosa preferirebbe? Non sa. Certo un bagno di latinità gli mancava. A Londra tuttavia il pubblico è più attento, la musica più seguita, anche quella contemporanea. Conclusione: sta trattando con il Covent Garden per un rinnovo di contratto al 2012. Quando ha in mano una partitura nuova Tony ne osserva dapprima l’immagine grafica. Al primo impatto con un’orchestra la analizza e cerca la sintonia necessaria per poter comunicare i suoi desideri. Il suo repertorio è tanto vasto grazie all’apprendistato con molti grandi del podio e per aver capito che si devono conoscere cultura e lingua di ogni singolo autore. Italo-anglo-americano il nostro parla anche tedesco e francese. L’autore prediletto è quello che sta studiando. Il periodo storico il Novecento. La figura di riferimento John Barbirolli, anglo-italiano come lui. E la Mitteleuropa? Due Berlino e nessun Salisburgo. «E poi non cerco né lampi né mecche, ma situazioni stabili che permettano l’approfondimento». Il segreto della sua direzione? «Intesa, energia e entusiasmo». Cosa butta dalla torre, la musica o il privato? «Purtroppo la musica mi assorbe completamente. È un dovere non un’ambizione. Ma io non vorrei.

Vorrei vivere, stare con mia moglie (la pianista Pamela Bullock), vedere mia madre. Alla memoria di mio padre dedico comunque ogni anno un concerto a Castelfranco in Miscano». Il luogo della radice, laggiù, nel beneventano.

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