«La Scala? Senza i privati non sarebbe internazionale»

«La borghesia illuminata? A Milano esiste ancora». Diana Bracco, presidente della Fondazione, del gruppo farmaceutico Bracco e di Expo 2015, ha chiesto di intervenire sulla questione dei finanziamenti alla Cultura che nei giorni scorsi è stata oggetto di dibattito su queste pagine, coinvolgendo le grandi personalità dell’impresa e della finanza lombarde, da Passera a Falck, da Hoepli a Mondadori. Un tema che al Gruppo Bracco, da sempre impegnato nello sviluppo e nella crescita del territorio, sta particolarmente a cuore, al punto da aver istituito due anni fa una Fondazione che, oltre a sostenere la ricerca scientifica, promuove la stagione concertistica della Scala, finanzia mostre e restauri, diffonde l’arte italiana all’estero in partnership con i più importanti musei del mondo. È dunque l’esempio, in tempi di tagli ai fondi pubblici, del ruolo fondamentale che può avere l’imprenditoria nel rilancio della Cultura.
Presidente, ha ancora senso oggi parlare di mecenatismo lombardo?
«Ha senso eccome, soprattutto laddove scarseggiano i finanziamenti statali. Penso alla Scala: se non disponesse di capitali privati, non potrebbe raggiungere i livelli d’eccellenza che la contraddistinguono nel mondo. Da tre anni sono membro del Cda della Filarmonica: a settembre abbiamo portato l’Orchestra a Shanghai, e la stessa cosa è stata fatta nel 2008, con il tour in Giappone, Corea e Cina. Senza i privati tutto questo non sarebbe possibile. E poi c’è un altro fattore».
Sarebbe?
«Un’azienda valuta attentamente, seleziona, prima di scegliere quale progetto finanziare. In questo modo si stimola la progettualità degli enti e la qualità delle proposte. Conosco decine di imprese, tra cui la mia, che operano in questo modo, e con grandi risultati».
Per esempio?
«Ogni anno Confindustria, di cui sono vicepresidente per l’Innovazione, istituisce un premio per le aziende che si sono distinte negli investimenti culturali, e posso garantirle che sono parecchie. Penso alle fondazioni, ai musei d’impresa: Alessi, Zucchi, Pirelli, Alfa Romeo. Noi, come fondazione, inauguriamo il 20 febbraio alla National Gallery of Art di Washington, una straordinaria mostra su Canaletto e il Settecento veneziano con oltre 60 capolavori. Mentre a marzo avvieremo il restauro della Galleria di Alessandro VII al Quirinale, una delle più belle opere del barocco italiano».
Tornando alla Scala, che idea si è fatta degli scioperi di questi mesi?
«Mi spiace molto vedere che un piccolo numero di lavoratori getti fango sull’impegno e le energie di centinaia di artisti e professionisti straordinari, e su un teatro prestigioso come la Scala. Il taglio è stato consistente, ma dove lo Stato non arriva, spetta ai privati scendere in campo».
Come può un’istituzione culturale attrarre capitali privati?
«Intanto occorre che lo Stato garantisca alle imprese la defiscalizzazione dei finanziamenti, come avviene in America. Al Metropolitan Museum, così come alla National Gallery, ci sono aree intere sostenute dagli sponsor. I cittadini nemmeno pagano l’ingresso».
Lei crede nella gratuità dei musei?
«Se un museo ha alle spalle delle grosse sponsorizzazioni può anche permettersi di aprire gratuitamente, magari per un periodo limitato, come sta facendo il Comune di Milano con il Museo del Novecento».
Altri incentivi?
«Coinvolgere i privati in un grande progetto. Sono certa che con l’Expo l’attenzione delle aziende verso i restauri e il recupero dei beni crescerà notevolmente».
Lanciamo un appello: perché le aziende dovrebbero finanziare la Cultura?
«È questione di responsabilità sociale. Più un’azienda cresce e si consolida, più vuole partecipare alla vita del territorio.

Non solo per un ritorno di immagine o come strumento di comunicazione, ma anche per orgoglio nazionale. Pensi che da una ricerca che presenteremo l’8 marzo risulta che la Cultura contribuisce al benessere. In particolare l’opera lirica: pare abbia un valore catartico...».

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