«Sono siciliano con difficoltà» diceva Leonardo Sciascia. Isolano fino al midollo, detestava i cliché della Trinacria amara e barocca, del siculo dalla «corda pazza», carico di memorie, ma condannato dalla storia. Lo detestava, ma allo stesso tempo ne era avvinto, consapevole che la sicilianitudine più che di un modo di vivere è un modo di essere e come tale va preso, positivo e negativo, insieme.
La mostra «Dopo la Sicilia. A Milano», si muove nellorbita sciasciana non solo perchè artisti dellobiettivo come Gabriele Basilico, presente con i suoi lavori nellesposizione, gli sono stati legati da frequentazione e amicizia, ma anche perchè è la stessa idea della Sicilia, geografica e culturale a essere presentata e rimessa in discussione. Sono 30 i maestri del «clic» che raccontano a Milano la Sicilia oltre la Sicilia, tra i quali spiccano nomi come Anelli, Charmet, Barbieri, Basilico, Beretta, Campigotto, Casolaro, Castella, Chiaramonte. Dynys, Gasparri, Gobbi, Guidi, Jodice, Laugé-Manzi, Maloberti, Masuyama, Mocellin-Pellegrini, Multiplicity, Natale, Paci, Struth, Valsecchi, Vitali, Vitone, Wenyun, Wolf e Yongjin.
Curata da Marco Meneguzzo, la mostra che sarà aperta da oggi al pubblico nelle belle sale della Galleria del Credito Valtellinese di Corso Magenta 59, fino al 7 novembre, è accompagnata da un originale catalogo a colore (Silvana Editoriale) con approfondimenti di Meneguzzo stesso e con saggi di Ginevra Quadrio Curzio.
Massimo Vitali è presente con immagini quasi in rilievo scattate a Mondello-Montepellegrino e Palermo. Hiroyuki Masuyama ha fatto di alberi di ulivo dei pastelli e acquarelli alla Turner. Lande desolate sullEtna lavorati con pigmenti su carta a mano a colori, sono di Dominique Laugé e Valeria Manzi. Mentre Francesco Jodice rende omaggio con il «digital print woodframe» su plexiglass, al mondo arabo. Il Tempio di Selinunte impresso nellobiettivo e stampato su carta a mano in bianco e nero, evidenzia con ingrandimenti, pietre, piante grasse e sabbia, immagini tratte da stampe digitali con pigmenti di carbone sono opere di Ico Gasparri. Il Tempio di Segesta, Trapani e Palermo sono stati elaborati tecnicamente, viraggi quasi color seppia dalla suggestione tridimensionale.
Vincenzo Castella dopo avere documentato poeticamente Siracusa e il suo mare ha voluto accompagnare alle quattro opere esposte anche una Venezia poeticamente evanescente.
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