SCHIACCIANOCI alla Scala Torna l’eredità di Nureyev

Si inaugura sabato con un classico la nuova stagione del Balletto

Elsa Airoldi

Torna Schiaccianoci, apre la stagione di Balletto della Scala e, con il Natale del suo libretto, fa festa al Natale di tutti. È la versione che Nureyev realizza nel ’68 per il Teatro Reale di Stoccolma e nel ’69 entra nel repertorio scaligero.
Con il titolo il teatro torna alla grande stagione caikovskijana (Pietroburgo, Marijinskij, 1892) e, con Bella e Don Chisciotte, propone il primo è più accattivante dei tre balletti firmati Nureyev presenti nel cartellone 2006-7. Lo stesso con il quale nell’88, vestito da Drosselmeyer, Rudy ballerino esce per sempre dalla scena della nostra vita.
Ancora una volta il coreografo compie una rivisitazione in chiave psicoanalitica, lettura autorizzata anche dalla fonte letteraria di Hofmann, figura significativa del movimento romantico, portato al noir e a psicologismi che non mancheranno di interessare lo stesso Freud. In Schiaccianoci l’esule Nureyev riversa a piene mani la sua affettività negata. La madre lontana, la famiglia che non c’è, la patria perduta, il rimpianto di quell’infanzia povera e sognante che lo vede vendere monetine di rame, bottiglie vuote e giornali ingialliti mentre lontano sferraglia il treno della sua vita. Quello che passa una volta sola. Lo porterà al Kirov e da lì al mito.
Così se il racconto vero e proprio è incentrato sulla figura della piccola Clara della quale si colgono i giorni inquieti del passaggio dall’infanzia all’adolescenza, il Nureyev più vero è quello che descrive il Natale della ricca casa borghese.
Quanta nostalgia nel salone addobbato, nell’albero inghirlandato, nei doni, nei girotondi, nella festa che avvolge nonni e genitori. Quanta malinconia nel finale, quando l’alter ego teatrale Drosselmeyer esce solo e senza meta, avvolto nel mantello del Wanderer e nel turbinio della neve che forse arriva da laggiù, dalla steppa dove è nato.
Con la tenerezza del ricordo Rudy colora il Natale con galoppi di ussari e assalti di toponi, gioiosi teatrini e paurosi pipistrelli, cavallucci che dondolano e gavotte perdute. Gli viene incontro la musica, con la sua orgia melodica e timbrica.
Schiaccianoci insomma come rilettura di intensa poesia. La meno criptica per contenuti e la più consequenziale per tecnica, pur nella tendenza che invoca il virtuosismo più audace. In scena il Ballo scaligero. Un gruppo rinnovato nei ranghi e ancora eccitato dal trionfo ottenuto in Cina. La prima Cina della Scala (quella prevista un paio di anni fa con Muti e l’opera venne cancellata per il pericolo di contagio da aviaria).
Il Ballo del resto s’è fatto il vero ambasciatore della Scala nel mondo grazie alle molte importanti trasferte volute da Frédéric Olivieri: contratto rinnovato al 2008 e, da un mese, anche la direzione della celebrata scuola (ma non c’è piaciuto il modo né abbiamo capito il perché della precipitosa defenestrazione di Anna Maria Prina, guida eccellente per competenza e cultura) che intende potenziare in senso classico.
Con Olivieri sono aumentate le recite ed entrati finalmente in repertorio alcuni grandi nomi di assenti ingiustificati. Come Neumeier e Preljokaj. Dei quali anche la stagione al via propone due novità: Die Kameliendame, La dame aux camélias su musiche di Chopin, montato nel 1978 per Stoccarda (Neumeier) e Le Parc, titolo ’94 per l’Opéra di Parigi (Preljokaj).


Attrazione fatale del primo cast è l’ospite Roberto Bolle. Principe dei principi che una singolare sorte sta sbalzando sulla prima pagina delle cronache di Aida. Con lui Lisa Cullum. Quindi, a rotazione, le prime parti del teatro. Sul podio Kevin Rhodes.

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