LO SCIPPO DELLA LIBERAZIONE

Il copione era scritto, ed è stato puntualmente recitato: 25 aprile, festa non della Nazione ma della sinistra. Festa trasformata, profittando dell’opportunità, in una consacrazione di piazza del governo Prodi prossimo venturo. Il Professore non ha esitato nell’apporre alla ricorrenza un arrogante timbro politico: ha voluto che fosse un rifiuto delle riforme costituzionali attuate dal centrodestra.
Devo dire, con rispetto ma anche con franchezza, che mi è parso eccessivo il termine «Bibbia civile» applicato dal presidente Ciampi alla Magna Charta che la Repubblica si diede oltre mezzo secolo fa. Le Costituzioni non sono testi sacri, sono codici umani suscettibili di modifiche e miglioramenti. Il porre mano a quelle parti che le vengono ritenute obsolete non è sacrilegio, è semplicemente un tentativo di aggiornamento.
Nel nome della Costituzione Prodi ha voluto dunque autocelebrarsi. Ma l’ha fatto anche nel nome dell’unità nazionale e questo è suonato falso - quasi come la Costituzione sovietica, a proposito di Costituzioni - nel momento in cui affioravano nel corteo milanese il dileggio e l’umiliazione degli avversari, l’antisemitismo, la voglia matta di mettere a tacere chi obietta. Passino le consuete ipocrisie (nei telegiornali ho sentito citare solo di sfuggita, come elemento di contorno, l’avanzata degli alleati angloamericani, come se la cacciata dei tedeschi fosse opera unicamente dei partigiani). E può essere inopportuno, dato il momento, ricordare che una forte componente della Resistenza - la componente comunista - inneggiava a Stalin e auspicava che l’Italia divenisse, in stretta aggregazione all’Unione Sovietica, una «Repubblica popolare»: come capitò in sorte ad altri sventurati Paesi. Ma questo è passato remoto.
Di stretta attualità è invece la degenerazione di una festa nazionale in sfogo settario: degenerazione che ha avuto la sua prova più evidente nelle contestazioni opposte alla presenza di Letizia Moratti nella manifestazione milanese. La Moratti accompagnava il padre Paolo, prigioniero a Dachau e medaglia d’argento della Resistenza. Il niet al suo intervento era premeditato. Il deputato di Rifondazione Daniele Farina l’aveva definita «un corpo estraneo ai valori del corteo», i soliti studentelli avevano preparato striscioni «Milano ripudia la Moratti». Le motivazioni con cui s’è tentato di giustificare questi detti e atti sono risibili e anche torve. Così ci si è aggrappati - l’hanno fatto altri due di Rifondazione, Augusto Rocchi e Gianni Occhi - ad evocare, contro di lei, la presenza «nella sua coalizione di discendenti delle forze contro cui i partigiani hanno combattuto». Letizia Moratti è discendente di un deportato e di un decorato per la lotta al fascismo. Quanto a coloro che furono con Salò, è possibile rivolgersi per informazioni a Dario Fo che nella parata di Milano si pavoneggiava.
Queste miserie hanno avvilito e immiserito - ma non era la prima volta - il ricordo di una data sicuramente molto importante nella storia d’Italia. Il centrosinistra attribuirà gli episodi di brutalità verbale e in alcuni casi - come in danno d’un militante di Forza Italia - di manesca violenza, ai no global, alle frange ingovernabili: magari ai soliti provocatori, chiamati in servizio quando lo scontro assume aspetti ignobili. L’alibi non è convincente ed è insufficiente.

Tra coloro che preventivamente hanno tuonato contro Letizia Moratti, incitando al boicottaggio se non al linciaggio, sono esponenti di partito, non mattoidi allo stato brado.
C’è qualcosa di orribilmente antidemocratico in questo scippo del 25 aprile. Tanto da indurre molti cittadini ad augurarsi che della festa della Liberazione, così concepita, sia meglio liberarsi.

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