Scoraggiati da Bankitalia

Per alcune agenzie di stampa e per la Repubblica in Italia la disoccupazione secondo le ultime stime di Banca d’Italia, nel 2009, è arrivata al 10,2%. Poiché l’Istat l’ha stimata all’8,3%, c'è da rimanere sorpresi. Sempre secondo queste fonti l’aumento del Pil, il prodotto interno lordo per il 2010, per Bankitalia sarebbe dello 0,7% mentre la Confindustria ha stimato l’1%.
Differenze notevoli, così sono andato a leggere il Bollettino di Banca d’Italia, che dovrebbe dire questo. Non ci ho trovato la disoccupazione del 2009 al 10%, ma all’8,3% come per l'Istat. E una frase successiva che cito: «Tuttavia ai disoccupati vanno aggiunti i lavoratori in cassa integrazione e le persone scoraggiate, ovvero coloro che non cercano attivamente un impiego e sono quindi esclusi dal conteggio ufficiale dei disoccupati pur avendo una probabilità di trovarla analoga a questi ultimi». Grazie al nebuloso termine «scoraggiati» - che sembra tratto da una sceneggiatura o da un romanzo di Federico Moccia - gli esperti della Banca d’Italia aggiungono: «Stimiamo che in questo concetto ampio, nel secondo semestre del 2009 la quota di forza lavoro inutilizzata sia risultata superiore al 10%».
Le statistiche dovrebbero rilevare dati oggettivi, non concetti sentimentali, comunque abbandonando i dati certi e andando nel concreto anziché nello psicologico, la disoccupazione vera in Italia è molto più bassa dell’8,3%, perché andrebbero conteggiati tutti quelli che lavorano in nero e non lo dicono all’Istat (percentuale elevata soprattutto nel Mezzogiorno), nonché gli extracomunitari clandestini che non fanno parte delle famiglie residenti in Italia oggetto della rilevazione Istat. Inoltre ha ragione il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, a prendersela con chi considera disoccupata anche la forza lavoro in cassa integrazione. Tesi sostenuta non dalla Banca d’Italia, in questo testo in stile Moccia, ma da Repubblica.
Infatti grazie alla scelta di Silvio Berlusconi e del duo Sacconi-Tremonti di combattere la crisi soprattutto con un impiego ampliato della cassa integrazione guadagni, finanziandola con rilevanti risorse aggiuntive, sia per il 2009 sia per il 2010, la disoccupazione in Italia è stata tenuta a livelli più bassi che nella media europea o negli Usa, dove ha toccato il 10%. E la crisi, con questi strumenti, è stata tamponata in modo efficace con una spesa molto minore di quella adottata da quei governi (prevalentemente di sinistra!) che hanno preferito pompare soldi pubblici nelle banche. Va aggiunto che gli esperti di Bankitalia hanno inventato questa nebulosa definizione di forza di lavoro inutilizzata fatta di «scoraggiati» e cassintegrati per giustificare la previsione, che in primavera avevano fatto con il loro modello di disoccupazione, al 10% entro la fine del 2009.
Non stupisce che la previsione sia risultata errata. Si tratta di un modello di impostazione macro economica keynesiana, molto rigido e semplificato, in cui la crescita del Pil è determinata in larga misura dalla domanda di consumi; e che sottovaluta la produttività delle nostre imprese piccole e medie. Anche la previsione che la crescita del Pil nel 2010 sarebbe solo dello 0,7% fatta da Banca d’Italia risente di queste insufficienze, tipiche di una cultura troppo macroeconomica e non micro, come è quella di chi crede nel ruolo determinante della libera iniziativa. Qui però gli esperti di Banca d’Italia sono stati guardinghi e al dato dello 0,7% di crescita del Pil, tratto dal modello, hanno aggiunto che esso ha il 70% di probabilità di essere vero e che c’è un margine di variazione dell’1% in più o in meno. Da tutto questo oscillare di frasi ermetiche e di stime incerte si trae però un suggerimento: il futuro di quest’anno e del prossimo dipende da ciò che si farà. Occorrono altri impulsi alla crescita economica.

Non vanno effettuati con un aumento della domanda di consumi, che traini l’economia, come se fosse fatta di automi, ma con maggiori disponibilità di credito per le imprese, con nuovi incentivi fiscali alla produttività, all’investimento, all’occupazione e con la riduzione degli impacci dovuti alle regolamentazioni e alle lungaggini del settore pubblico. In breve bisogna dare un maggiore spazio e maggiore premio alle forze del mercato e maggiore efficienza alla macchina pubblica.

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