Lo scudetto che cambia il destino e che invece diventò un autogol

La partita più bella della mia vita non l'ho mai vista. Avevo 10 anni e gli occhi fissi su una radiolina: il Torino pareggiava in casa con il Cesena (1-1, gol di Puliciclone, autorete di Mozzini), la Juve perdeva a Perugia. Ci bastava. Era il 16 maggio 1976. Era lo scudetto. 27 anni «dopo» (e guai a chi chiede «dopo cosa»). Superga quella sera mi parve luminosa come la stella cometa e dagli spogliatoi del Filadelfia, non ancora rudere, vidi nitidamente il sorriso di Valentino. Per questo quella partita, forse una delle più brutte giocate dal Toro di Radice, mi è rimasta nella memoria come la più bella: non per ciò che vedevo in campo, ma per ciò che il campo mi faceva vedere. In quel momento, infatti, nei miei occhi bambini si disegnava con i colori granata un futuro eroico come il passato.

Ancora non sapevo, illuso, che invece mi aspettavano trent'anni di sofferenze, delusioni e retrocessioni. Ma in fondo era già tutto scritto quel 16 maggio: allora pensavo che a segnare il destino fosse il gol di Pulici. Invece, purtroppo, era l'autorete di Mozzini.

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