In classe col grembiule obbligatorio, ma è vietato portare il chador. Alle elementari Radice di via Paravia - quelle con l88,2 per cento di iscritti stranieri - questa è una norma precisa: «Per evitare dice la dirigente scolastica Agnese Banfi che già dallabbigliamento si creino forme di diversità. Il grembiule uguale per tutti, invece, aiuta lintegrazione».
Un caso che a Milano sembra non abbia seguito. «Non mi è mai stata segnalata altra situazione di questo genere commenta Anna Maria Dominici, il direttore scolastico regionale . Se ci sono altri casi non mi sono stati segnalati». Un veto legittimo? «Siamo di fronte a un problema che lasciamo gestire ai dirigenti scolastici continua la Dominici -. Noi raccomandiamo comunque la massima tolleranza per evitare che ricreino motivi di abbandono della scuola».
Un rischio che nella scuola di via Paravia non si corre. In un solo caso la dirigente ha avuto modo di intervenire, con una bimba di otto anni, ma poi, dopo un colloquio con i genitori la norma è stata rispettata senza traumi. La bimba, figlia di immigrati egiziani, ha continuato a frequentare regolarmente la scuola senza velo. Cauto il commento di Mamoud Othman, presidente di unassociazione di immigrati egiziani: «In linea di principio dice non credo che si debba negare la libertà di portare il velo. Una ragazza che studia alluniversità, ad esempio, credo che possa presentarsi in aula col chador senza problemi per nessuno. Altro caso è quello dei bambini: raramente lo portano». E sul caso di via Paravia? «Credo che ci troviamo di fronte a una famiglia che esagera dice ancora Othman se a scuola cè una norma che vieta il velo ai piccoli, va rispettata. Le regole vanno tutte rispettate».
«È un abuso di potere - attacca invece Abdel Shaari, presidente del centro di viale Jenner - in Italia non esiste una legge che vieti il velo, se la scuola ha deciso di proibirlo ha sbagliato. Luso del velo fra le bambine non è diffuso, ma una famiglia credente può chiederlo alla figlia e non lo si può proibire».
«Per me limportante è che si attivino tutte le iniziative importanti per lintegrazione continua la dirigente Banfi -. E il rispetto dellidentità degli allievi passa attraverso ben altre forme. Ad esempio dando ai bambini di origine islamica la possibilità di non dimenticare la lingua parlata nel loro paese. Per questo nella scuola abbiamo istituito dei corsi di arabo frequentati da quasi tutti gli alunni provenienti da famiglie marocchine o egiziane che peraltro rappresentano la maggioranza dei 119 iscritti del plesso di via Paravia».
Una strategia seguita anche nella scuola di via De Nicola, allaltro capo della città, che pure è frequentata da numerosi alunni arabofoni. Qui però il velo non è vietato. «Non è necessario spiega Sergio Gilioli, il dirigente scolastico . Solo le mamme, e non tutte, portano il chador. In compenso la nostra è una delle 10 scuole milanesi dove si insegna larabo, ogni sabato mattina».
La scuola di via De Nicola è stata la prima a creare unalternativa alla scuola di via Quaranta. «Il primo nucleo di famiglie di quella specie di scuola continua Gilioli già una decina danni fa erano venute da me a chiedere aiuto, perché i loro figli non imparavano nulla. Abbiamo fatto un patto: noi davamo linsegnamento dellarabo e loro mandavano i figli nella nostra scuola. Così è cresciuta lesperienza. Nonostante qualche problema nato poi con alcune famiglie italiane.
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