Se 40 anni di galera vi sembrano troppo pochi

Sommersa com’è dalle critiche, la giustizia italiana ha finalmente un nome e un caso cui appellarsi, per respingerle. La si vuole inefficiente, incapace di far espiare le pene, farfallona al punto di liberare un killer perché scrive poesie e ciò facendo dimostra d'aver imboccato il cammino del bene. I reati cadono in prescrizione, pene tremende evaporano durante il percorso dei mitici faldoni nei non memo mitici «palazzacci». Sembra non si salvi niente.
Invece, l'abbiamo accennato, c'è per la legalità umiliata una ciambella di salvataggio. Non un qualche dotto e insigne giurista, di quelli ne abbiamo a bizzeffe, ma sono inflazionati e, per usare un termine educato, poco credibili. I presidenti emeriti della Corte costituzionale risultano, a causa degli avvicendamenti là praticati, più numerosi degli allenatori di certe squadre di calcio.
No, il nome e il caso cui facevamo riferimento sono quelli di Vallanzasca, fosco, spavaldo e feroce protagonista della «mala» milanese negli anni Sessanta e Settanta. Era detto «il bel Renè» per una sua sfrontata guapperia in versione meneghina, e naturalmente suscitava innamoramenti (càpita perfino a Erika e Omar). Aveva praticato varie specializzazioni della criminalità: omicidio, rapine, sequestri di persona e, una volta acciuffato, ripetute evasioni. Collezionista di ergastoli nominali, ha finito per scontarlo davvero l'ergastolo, in pratica.
Per i suoi precedenti, benchè abbia trascorso una quarantina d'anni di galera, mai potrà tornare in libertà, e nemmeno in semilibertà. Al bel Renè diventato un Renè imbolsito è stato soltanto concesso di lavorare durante il giorno, ripresentandosi in cella dopo il tramonto. Forse perfino l'incorreggibile si è corretto, sembra che spieghi ai ragazzi difficili di non essere per niente un mito e un modello ma d'essere stato piuttosto un idiota, dannandosi a una vita da reietto della società. Non indugeremo sulla sincerità di questo pentimento. Preferiamo crederlo autentico.
Ma il discorso che ci interessa è un altro. Se pensiamo al percorso di Vallanzasca dobbiamo concludere che la giustizia cui tutti aspiriamo è quella che si è occupata di lui. Non ha mollato. Non s'è fatta ingarbugliare dagli articoli e dai commi. Ha ritenuto che alla selvaggia furia di Renè lo Stato dovesse opporre una fermezza implacabile, e se scappava lo andava a riprendere, e se voleva essere l'eterno ribelle si trovava di fronte la Legge con la elle maiuscola, non smemorata, non sbadata. Un duello nel quale i buoni hanno vinto, una volta tanto. Viva le manette se si stringono attorno ai polsi d'un pluriassassino (altro discorso va fatto per le manette di Mourinho, ma qui stiamo parlando di cose serie).
Le cronache - e le conversazioni da bar - sono gremite di ironiche citazioni giudiziarie («hai visto quello che scioglieva i ragazzi nell'acido e poi è diventato collaboratore dei magistrati, a piede libero?». «Hai visto quel truffatore professionale che non ha mai scontato un giorno di carcere?») e così via. Finalmente abbiamo visto qualcosa di diverso. Abbiamo visto Renè Vallanzasca che dopo quarant'anni di detenzione deve ancora dormire in cella mentre Erika può passeggiare tranquilla, se le va anche per le strade di Novi Ligure e Omar, che presto avrà del tutto saldato il suo conto con la giustizia, chiede d'essere lasciato in pace. So che la giustizia non dev'essere confusa con la vendetta, che la pena dev'essere possibilmente rieducativa e non afflittiva.

So egualmente che la severità delle sanzioni non potrà mai riportare in vita le vittime. Ma una qualche proporzione tra delitto e castigo deve pur esserci. Per il bel Renè dobbiamo riconoscere che c'è stata e c'è. Onore al cittadino Vallanzasca.

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