Se perfino Fidel si pente: "Il comunismo non va"

Se perfino Fidel si pente: "Il comunismo non va"

Con l’età arrivano gli acciacchi ma anche, talvolta, la saggezza. Mi pare che proprio questo stia capitando a Fidel Castro: il quale ha riconosciuto, conversando con il giornalista americano Jeffrey Goldberg della rivista The Atlantic, che «il modello cubano non funziona più neanche per noi». Finalmente una verità: il líder máximo, che quattro anni or sono ha ceduto il potere al fratello Raul ma s’è riservata la facoltà di esternazione, s’è astenuto dell’elaborare, nella sua risposta, i motivi del fallimento. Per dimostrare che il metodo cubano, mutuato a suo tempo dall’Urss, era quanto di meglio si potesse pretendere. Fidel in passato aveva intrattenuto folle multitudinarie per ore e ore. Decenni di fluviali discorsi e di annunci trionfali. Dopodiché Fidel s’è convertito alla brevità. Ma pur nella stringatezza tacitiana della sua ammissione ha trovato modo, a mio avviso, d’essere un po’ reticente. Non è che il modello cubano non funzioni più: è che non ha mai funzionato. Più in generale, non ha mai funzionato nessun modello di economia comunista, ossia il tentativo di rimpiazzare il mercato con meccanismi burocratici e dirigistici.

Insomma, quella di Fidel è tutt’altro che una grande scoperta, è appena appena il riconoscimento d’una realtà innumerevoli volte verificata eppure da tanti e per tanto tempo testardamente negata. Non c’è più il Fidel Castro d’una volta, c’è a quanto pare un nuovo Fidel Castro avvilito, rassegnato (non vorrei esagerare definendolo pentito).

Un po’ mi spiace, lo confesso, questa diserzione d’uno degli ultimi difensori, e il più noto ed autorevole, dell’ortodossia economica di stampo marxista. Cuba è utile, una cavia politica ed economica da preservare per verificare le conseguenze di decisioni sbagliate. Vi vengono salvaguardati, sia pure con progressive ma insufficienti modificazioni, i meccanismi del «socialismo reale». Quel complesso di regole elaborate a tavolino - almeno questa era l’impressione - da individui il cui unico impegno fosse di rendere la vita quasi impossibile a tutti, tranne gli appartenenti alla nomenklatura. I problemi da risolvere per attuare soddisfacentemente il rompicoglionismo scientifico erano molti, ma quei ricercatori erano riusciti a superarli in gran parte. Il modello che non funzionava e che non avrebbe mai potuto funzionare l’avevano gioiosamente ottenuto, nell’esultanza di Gianni Minà. Per mezzo secolo quel modello ha tenuto fede alle premesse. Era ed è - ma fino a quando? - a disposizione degli studiosi. Non so cosa accadrà dopo la resa di Fidel.

Alcuni presunti esperti di relazioni internazionali e di economia dovranno probabilmente mettere il lutto: oppure si convertiranno, ma senza ammettere che qualche cantonata l’avevano presa. Fidel abbandona la fortezza, sarà fuggi fuggi, immagino (oppure Raul terrà le posizioni?). Corriamo un rischio grave.

Il rischio cioè che l’unico vero santuario di quelle istituzioni demenziali che ebbero il nome di socialismo reale sia d’ora innanzi la Corea del Nord, che già scoraggia con la faccia del suo amato leader, e che poi è troppo lontana, niente turismo: e diciamola tutta, troppo antipatica... Volete mettere la barba di Fidel, le uniformi di Fidel? Adesso rinnega tutto, il traditore, ci lascia con Raul. Davvero non funziona più niente, soprattutto a Cuba.

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