Se una petroliera s’incendia davanti a Multedo

Se una petroliera s’incendia davanti a Multedo

Manca poco all’attracco al molo di Multedo. Sì e no, mezz’ora di mare, che comunque è liscio come l’olio. La petroliera che stazza 35mila tonnellate e ne trasporta 15mila di «Iranian Light», fila a 15 nodi che è un piacere. All’improvviso il botto, subito seguito da un’imbardata anomala dello scafo: parte del carico finisce in acqua, a bordo scoppia un incendio. È allarme immediato, raccolto dalla Guardia costiera di Genova. Scatta l’operazione di soccorso: in un amen si muovono aerei, elicotteri, vigili del fuoco, sommozzatori, pilotine della Capitaneria e la nave maltese «Salina Bay» attrezzata con due braccia meccaniche che, calate in mare, convogliano il greggio fuoriuscito dalle cisterne e lo «assorbono» come farebbe un aspirapolvere. Tempo poche decine di minuti, l’incendio è domato e vengono portati in salvo i naufraghi, mentre in un paio d’ore anche la chiazza di petrolio è ridotta a una striscia neanche tanto lunga.
Tutta vera, la scena di ieri mattina al largo del porto di Genova. E anche tutta falsa, visto che si è trattato di una (perfetta) simulazione messa in opera dall’Agenzia europea per la sicurezza in mare, l’Emsa, per affrontare un ipotetico disastro. Intanto, a bordo della «Salina Bay», dove sono saliti fra gli altri il tecnico dell’Emsa Andrea Tassoni e l’ufficiale di Capitaneria Rodolfo Giovannini, si guarda alla chiazza in superficie (è lolla di riso, ma sembra greggio) e vengono richiamati alla memoria i casi più recenti delle «protagoniste» di emergenze ambientali: «Prestige», «Erika», «Haven». Che significano milioni di litri di greggio in mare, milioni di dollari di danni, una «bonifica» estenuante, con pesanti ricadute sulla catena alimentare. L’esercitazione prosegue, e serve a mettere a punto anche esigenze in apparenza minori.
La «Salina Bay», normale tanker che ha caricato le braccia meccaniche dopo l’allarme ed è intervenuta entro le 12 ore canoniche previste dal programma, segue le istruzioni della centrale operativa. «È una delle situazioni - spiega Tassoni - che gestisce l’Emsa, organismo con sede a Lisbona che conta su un budget di 53 milioni di euro e 250 addetti provenienti da 23 Paesi europei. Due i filoni operativi: il controllo sull’applicazione delle normative europee e lo sviluppo di mezzi in grado di favorire la sicurezza in campo marittimo». Con queste specifiche: la verifica, a cadenza biennale, delle società internazionali di classificazione (identificando le 12 migliori), il controllo dei requisiti professionali degli equipaggi e delle navi nei porti (in modo che una nave «classificata» da Emsa non debba sottostare a verifiche in ogni scalo visitato), e l’«investigazione» sugli incidenti in mare. Tutto questo, dal punto di vista della maggiore e migliore sicurezza. Rientra in questo ambito di lavoro a 360 gradi la simulazione di ieri nel Mar Ligure. Erano impegnate unità e uomini di Francia, Principato di Monaco, Spagna e Italia. Commenta il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo: «È un test fondamentale per il Mediterraneo, in nome dell’accordo internazionale Ramogepol che consente di verificare, con il massimo realismo possibile, il grado di risposta all’esigenza di intervento». Verso il primo pomeriggio, con il mare a forza 3-4 in aumento, il vento teso di grecale e una pioggia che si fa sempre più insistente, la prova può dirsi positivamente conclusa.

Le braccia meccaniche rientrano a bordo della «Salina Bay», il comandante dà ordine di cessata emergenza. Rimane solo un residuo di lolla di riso a increspare l’onda. Ma anche fosse petrolio, ormai non farebbe più paura.

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