I fatti. Prima delle ultime elezioni amministrative il centrodestra governava in 9 Province, oggi in 34; il centrosinistra governava in 50 Province, oggi in 28. Ben 23 Province sono passate di mano (tre erano nuove e sono andate due al Pdl-Lega e una a Pd-Idv): 15 al primo turno, otto ai ballottaggi. E tutte in un’unica direzione: da sinistra a destra. La stessa cosa è avvenuta nei Comuni capoluogo: ben nove (di cui tre nel ballottaggio) sono stati conquistati da Pdl e Lega, mentre la sinistra non è riuscita a strapparne agli avversari nessuno. Meglio ripetere: neppure una amministrazione verde-azzurra è diventata rossa.
Benissimo. Ecco una piccola rassegna stampa dei titoli dei giornali di ieri: «Milano al Pdl, il Pd vince al centrosud», «Il Cavaliere in frenata» (la Repubblica), «Il Pdl avanza ma il Pd resiste» (La Stampa), «Ballottaggi: il Pd rimonta» (Il Messaggero) «C’è un’altra Italia», «Cambia il vento», «Pd in rimonta, dalle urne un segnale per Berlusconi» (l’Unità, che piazza anche un occhiello irresistibile: «Dalle urne esce quasi un pareggio», che al confronto il «Quasi gol» di Nicolò Carosio impallidisce). E ancora: «Papi salvo per un pelo» (Il Riformista), «Il Pdl conquista Milano, sindaci al Pd» (Il Mattino), «Si riparte da qui: Penati combatte, gli altri stravincono, l’onda di destra rifluisce» (Europa), «Sballottato» (il manifesto sulla grande foto di Berlusconi), «Congiurano anche le urne: Berlusconi perde provinciali e comunali» (L’altro). Con effetti anche comici. Il Secolo XIX, quotidiano ligure, titola «Tiene il Pd» malgrado nella regione di sua competenza ci sia stato un solo risultato: il passaggio della Provincia di Savona dal centrosinistra al centrodestra. E Italia Oggi piazza uno straordinario: «Ballottaggio ok per Franceschini & co. che perdono 21 Province».
Come no: perdere 21 Province (ma in realtà sono 23) è ok, anzi è magnifico. Mentre vincerne 24 è una sconfitta. Dove può accadere tutto questo? Ma solo nell’Italia del 2009, dove infuria un regime, la stampa è oppressa e non può dire la verità. Difatti: spara minchiate.
Le prime, robuste avvisaglie si erano avute con le europee: siccome alla vigilia Berlusconi si era lasciato andare a previsioni troppo ottimistiche, la buona prova del Pdl e quella eccellente della Lega erano state liquidate come una mezza sconfitta, mentre la batosta incassata dal Pd era diventata un sostanziale successo. Come se, prima di incontrare l’Italia, i brasiliani avessero pronosticato un 5-0 e il giorno dopo gli azzurri fossero stati celebrati come trionfatori per aver perso «solo» 3-0. Allora noi del Giornale parlammo di «voto percepito». Ma in 15 giorni la situazione è precipitata e siamo arrivati al «voto surreale», totalmente sganciato dai risultati dello spoglio. A prescindere, come direbbe Totò.
Il via alla corsa al ridicolo lo ha dato Dario Franceschini, l’uomo incomprensibilmente chiamato a guidare il principale partito d’opposizione, l’altra sera quando si sono delineati i risultati: «È cominciato il declino della destra», ha esultato. Poi ha bofonchiato ancora qualcosa, ma nessuno ci ha capito nulla. Del resto, è davvero difficile spiegare che una disfatta è un grande successo e viceversa: impresa paragonabile a quella di un principe dei retroscenisti che spieghi in tv come agli spettatori di un tg si debbano dare solo notizie certe, e mai e poi mai indiscrezioni. Bisogna essere bravi con le parole e il ferrarese («Fareste educare i vostri figli da un uomo così?») non è proprio nel suo brodo. A dare man forte a superDario sono arrivati un po’ di «compagni», ma anche loro si sono intortati con la sintassi. Non era cosa: meglio passare la palla ai professionisti. E i colleghi, anche quelli «moderati», come avete visto non si sono fatti pregare.
Superba è stata l’Unità. Non si è ben capito perché la ragazza effigiata in copertina fosse in lacrime, visto che doveva illustrare un grande successo: ma senz’altro è colpa nostra che non abbiamo colto il messaggio. Comunque, tutto il resto era a regola d’arte. Il fondo della direttora, dopo l’incipit veltroniano (non abbiamo proprio vinto ma anche sì), sosteneva senza tentennamenti come Berlusconi fosse stato «sconfitto rispetto alle sue stesse previsioni» e minimizzava come si conviene i successi del centrodestra a Venezia («per poche migliaia di voti») e a Milano («una manciata di schede»). Poi, per non saper né leggere né scrivere (absit iniuria verbis), all’interno il risultato della Laguna era confinato in una «breve» (Provincia espugnata dopo 15 anni, una bazzecola), così come lo storico flop di Prato: che volete che sia la terza città del centro Italia, da 63 anni ininterrottamente in mano alla sinistra, che passa al «nemico»? Molto meglio brindare allo scampato pericolo a Firenze, dove fino all’anno scorso sarebbe stato inconcepibile anche solo pensare di finire al ballottaggio. O a Bologna, andata allo spareggio malgrado l’harakiri del centrodestra (due candidati forti come Cazzola e Guazzaloca uno contro l’altro) e tenuta anche grazie alla campagna gossipara e suicida dello stesso Cazzola nel secondo turno. Compagni, abbiamo vinto a Bologna e Firenze: sono soddisfazioni.
E la Repubblica, il vero partito d’opposizione? Bravissima, anche lei. Ha fatto proprio come l’Unità, precisa precisa, ma ci ha aggiunto il commento del vicedirettore Massimo Giannini, per l’occasione, duole dirlo, più efficace di Concita De Gregorio. Sissignori. Giannini non solo gliele ha cantate chiare («L’onda alta e lunga del berlusconismo si infrange sugli scogli di Casoria e sulle spiagge di Bari», il poetico esordio), non solo ci ha spiegato che quello di Bari non era un ballottaggio amministrativo ma un referendum sul premier, non solo ci ha descritto «l’insuccesso, l’appannamento, la crisi del Cavaliere». No, ha fatto di più. Ha cavato dal cilindro un «sostanziale pareggio» (che, ammetterete, suona meglio del «quasi pareggio» di Concita) e per giustificarlo ha assegnato d’ufficio la Provincia di Belluno al centrosinistra. Falso, naturalmente: a Belluno hanno vinto Pdl e Lega. Ma non vorrete mica stare qui a spaccare il capello in quattro. Quel che conta è la sostanza, cioè che Berlusconi e il berlusconismo sono al tramonto.
Una verità rivelata. A prescindere. Quattro anni fa Penati conquistò la Provincia di Milano e Bersani commentò: «È l’inizio della fine del berlusconismo».
Oggi Penati ha perso la Provincia di Milano e l’altro galletto del pollaio Pd, Franceschini, ribadisce: «Comincia il declino del berlusconismo». E se i conti non vi tornano, è solo colpa vostra che non capite nulla di politica. Dovreste leggere la Repubblica: lo scrive da quindici anni che Berlusconi è finito. Prima o poi ci prenderà. Matematico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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