Se Tabacci fa il sindaco e Pisapia deve rincorrerlo

(...) Durante la quale, anzi, nessuno ha mai fatto neppure l'ipotesi di affidargli l'assessorato più importante, il Bilancio, cioè le chiavi della cassa. Insomma Pisapia è il sindaco ma chi comanda è Tabacci. Come dimostra il profluvio di interviste, dichiarazioni, prese di posizione, annunci e minacce a cui si dedica quotidianamente. Perciò il disavanzo (sempre «potenziale», beninteso) minacciato da Tabacci aumenta di giorno in giorno: ieri, a beneficio del Corriere della Sera, è arrivato a sfiorare i 450 milioni di euro, in modo da consentire al super-assessore di annunciare orgogliosamente aumenti delle tariffe e delle tasse, tagli all'assistenza, allo sport e alla cultura (ma ve lo ricordate il fracasso che ha montato la sinistra contro i «tagli alla cultura» del governo Berlusconi?).
Per Tabacci l'idea fissa della giunta precedente «di non mettere le mani nelle tasche dei milanesi», cioè di non aumentare tasse e tariffe, sarebbe «retorica perversa». Per lo statalista Tabacci, non a caso proveniente dalla sinistra Dc e perciò fanatico della proprietà pubblica, Moratti avrebbe fatto di peggio: rivolgendosi al mercato (secondo noi troppo poco) «ha reso i milanesi più poveri» perché avrebbe «venduto il patrimonio di tutti». Qualcuno, per piacere, informi Tabacci che la campagna elettorale è finita. È evidente, dunque, che avendo a disposizione tutte queste leve, chi comanda davvero Palazzo Marino è proprio il Tabacci. Il quale fa anche di tutto per farcelo capire. Perciò dice la sua pure sull'Expo: per l'annosa questione dell'acquisto dei terreni parla di «azionariato popolare». Ma qui la confusione diventa veramente grande, giacché, sulla questione legittimamente intervengono anche Pisapia, che sarebbe pur sempre il sindaco, e l'assessore Boeri, che sulla materia ha una delega specifica, oltre ad essersene occupato (ahinoi!) già con la giunta Moratti. Ebbene, l'archistar - dopo aver progettato un bel po' di grattacieli a Porta Nuova, del tipo di quelli aborriti da tanti suoi compagni ambientalisti - su quei terreni dopo l'Expo invece ci vuole pochissimo cemento e tanto parco, il grande orto planetario, la zucchina globale, abbassando vertiginosamente l'indice di edificabilità. Il fatto è che se puoi costruirci poco, quelle aree valgono poco, dunque addio investimento e, in sostanza, addio Expo. Pisapia, invece, per non rischiare di restare a secco, non vorrebbe discostarsi molto dalla linea Moratti-Formigoni. A questo punto arriva l'onorevole Tabacci - che, tra l'altro, in barba agli impegni elettorali di Pisapia si ostina a non mollare il posto a Montecitorio - col suo «azionariato popolare»: vuol vendere ai milanesi quote della società proprietaria delle aree, che però non si sa come saranno utilizzate e quindi quanto valgano. Quote, dunque, dal prezzo assolutamente indefinibile.
L'unica cosa chiara e la confusione, la babele che regna in giunta. È evidente che sindaco e assessori hanno poche occasioni per parlarsi. Non desta meraviglia, perciò, il bizzarro episodio della convocazione a Palazzo Marino della Consulta per i rom, «i nostri fratelli rom» di Vendola, capo del partito di Pisapia, quello che ha definito la Lombardia «la regione più mafiosa d'Italia».

Ebbene, all'ultimo momento tutti se la sono squagliata: non c'era il sindaco, non c'era un assessore, c'era solo il presidente del Consiglio Basilio Rizzo. Convocazione inutile, ma che importa, quello conta è esibirsi in un bell'esercizio di retorica.

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