Se la vita (pubblica) finisse a 60 anni

La provocazione è forte e insinuante. Luca Iosi, segretario dei giovani socialisti nei primi anni Novanta, e amico personale di Bettino Craxi anche nei momenti più difficili, ha lanciato l’altro giorno a Roma «un patto generazionale». Per combattere la gerontocrazia dilagante in politica come in economia, nelle università come nella comunicazione, Iosi ha proposto di sottoscrivere un impegno formale per il quale a 60 anni si lasciano le posizioni di comando. Insomma se non possiamo liberarci ora dei vecchi impediamo per il futuro che la cosa si ripeta.
Un’iniziativa indubbiamente ricca di fascino e di suggestione, ma anche un po’ utopica che espone il fianco a giudizi perfidi. Diciamo subito che il «parterre» di uomini e donne che hanno sottoscritto il patto generazionale di Iosi è di grande qualità per la presenza di imprenditori come Matteo Marzotto e Luisa Todini, di giornalisti come Gad Lerner e Maria Latella, di banchieri come Alessandro Profumo, di politici come Daniele Capezzone, Chiara Moroni, Giovanna Melandri e molti altri ancora. Detto questo incominciamo con la perfidia. Non ci sembra che tra i sottoscrittori vi siamo uomini e donne che abbiamo superato i 57-58 anni e quindi l’impegno preso è di qui a 10-20 anni. Campa cavallo e sempre quando alcuni tra loro non si saranno già consumati per strada. Non vorremmo, poi, che la segmentazione della società italiana facesse altri passi in avanti per cui dopo le quote rosa dobbiamo discutere anche delle quote anagrafiche.
Tony Blair e Ségolène Royal, la Merkel e Zapatero, Bill Gates e Fiorina Carli non sono figli delle quote, ma personalità giovanili e femminili che si sono imposte nella dura lotta della politica e dell’economia, delle scienze e della tecnologia. Più che un patto generazionale avremmo dunque capito di più un patto per introdurre una massiccia dose di meritocrazia negli arrugginiti meccanismi selettivi della società italiana. È questo, forse, il limite dell’iniziativa di Luca Iosi che peraltro ha il merito di aver portato a condividere un’utopia persone culturalmente e politicamente così diverse tra di loro. Ed allora, dopo la perfidia, l’incoraggiamento perché questa occasione non venga sciupata.
L’obiettivo non può essere una battaglia contro gli ultrasessantenni, che mai come in questa stagione mostrano in tutti i Paesi vitalità intellettuale e fisica. Non ci sfugge l’involuzione autoritaria e familistica di quelle società nelle quali le leve del comando sono in grandissima parte concentrate negli ultrasessantenni. Ad essi, però, non va chiesto di farsi da parte per ragioni anagrafiche perché anche queste ragioni potrebbero essere autoritarie. Ad essi va chiesto con forza di concorrere a ridisegnare modelli concorrenziali e selettivi in tutti i settori, a cominciare naturalmente dalla politica il cui primato, nel bene e nel male, è sempre più indiscutibile. Insomma un’offensiva di persuasione, una pressione culturale e mediatica sul versante della concorrenzialità, della meritocrazia e della democrazia può essere l’arma vincente di quel parterre di uomini e donne di qualità che hanno sottoscritto il patto generazionale. Anche la denominazione del patto forse andrebbe cambiata. Non ci sfugge, naturalmente, il tono provocatorio e dissacrante di Luca Iosi che al potere dei vecchi vorrebbe contrapporre una sorta di editto morale dei quarantenni. La società italiana ha bisogno di provocazioni e di utopie, ma anche di saggezza e di concretezza e aspettiamo da questo patto generazionale un nuovo convegno, caso mai nella capitale del Nord, per mettere a confronto politica, cultura ed economia su modelli selettivi e democratici per evitare che a vecchi mandarini, che stanno per tramontare, seguano giovani intrisi di arroganza e di autoritarismi.

E un ultimo avvertimento ai promotori del patto. Guardatevi dagli applausi facili e dalle rapide convergenze perché anch’essi sono la negazione di quella dialettica che è la forza maggiore della freschezza intellettuale.
Geronimo

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