Semplicità, garbo, simpatia Terence Hill in giallo è proprio manna dal cielo

Chi è più attrezzato di un prete a far miracoli? Don Matteo non ha la stessa familiarità con Nostro Signore che aveva il suo celebre collega Don Camillo, ma di sicuro ne sa una più del diavolo. Per esempio conosce alla perfezione i meccanismi della fiction e ancora meglio come si batte, anzi, si stritola, la concorrenza. È vero che la tv generalista (terrificante neologismo che indica le reti non satellitari) offre programmi deprimenti, ma quando entra in scena Terence Hill in tonaca e bici, per i cattivi non c’è scampo e per le altre trasmissioni nemmeno. Un pienone d’ascolti da lasciar sbalorditi, che come il miracolo di San Gennaro si ripete puntualmente a ogni stagione (televisiva). E con questa siamo già all’ottava serie. Ma se il sacerdote investigatore tiene duro nessun traguardo di longevità è vietato.
Uno però si chiede: perché tanto successo? Le trame sono, tutto sommato modeste, il filo giallo è sottilissimo, la conclusione degli episodi scontata. Be’, lasciando da parte le pensose argomentazioni dei sociologi, si può tranquillamente rispondere che 1) i racconti sono semplici e garbati; 2) di violenza, anche se si parla di omicidi, non ce n’è mai; 3) di sesso manco l’ombra; 4) gli attori sono bravi, spesso, vedi il maresciallo Nino Frassica, anche molti simpatici; 5) i nuovi entrati, tipo Simone Montedoro, non fanno rimpiangere i vecchi amici perduti per via, tipo Flavio Insinna; 6) Gubbio è un’ambientazione inedita e accogliente. Insomma roba per famiglie, come si suol dire, e i genitori, accanto ai loro ragazzi, non devono arrossire in continuazione. Certo che se uno, magari lo stesso di prima, volesse fare il pignolo a ogni costo, si stupirebbe di come una città così piccola (Gubbio conta 32.998 abitanti) abbia una criminalità che neanche Los Angeles. Si può tranquillamente ribattere che se la città è di dimensioni ridotte, la superficie del territorio comunale è la settima d’Italia. E poi, un po’ di sano sciovinismo non guasta. Che dire della minuscola Cabot Cove, laggiù nel Maine, dove da secoli indaga Jessica Fletcher, con le soavi fattezze di Angela Lansbury? Lì, a furia di accumulare cadaveri, non dovrebbe esserci più un’anima. Viva, è il caso di precisare.


E poi c’è lui, il protagonista, Terence Hill, che ha gli stessi azzurrissimi occhi e il sorriso beffardo da finto tonto di quando appariva con il suo vero nome, Mario Girotti, e interpretava brutte commedie come Vacanze col gangster. Su quel set d’esordio, nel lontano 1951, diretto da un disimpegnato Dino Risi, incontrò, indovinate un po’, oh yes, Carlo Pedersoli, non ancora Bud Spencer. E poi c’è chi non crede al destino.

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