C'era una volta un magistrato. A dir la verità c'è ancora. Preparatevi ad un racconto a cannocchiale, a matrioska o se volete a scatole cinesi. Insomma a tante curiosità una dentro l'altra con il protagonista sempre lo stesso: Piero Calabrò, 55 anni, magistrato di Cassazione in forza da 30 anni al Tribunale civile di Monza.
A sentirla raccontare la sua storia sembra una favola talmente è vera. Un giudice che lavora. Non partecipa a cortei, non firma manifesti, si tiene lontano dai salotti radical chic e quando scioperano i suoi colleghi appende un cartello fuori dalla porta con scritto «sono in sciopero, ma tengo udienza lo stesso». Dicono pure di lui che abbia idee di sinistra, ma quello che vota se lo tiene ben stretto per se: «Mi chiamo Calabrò e non posso essere tacciato di essere contro il Sud quando sottolineo le enormi diversità di funzionamento della Giustizia nelle diverse aree geografiche del Paese. Lavoro punto e basta. Non ho mai partecipato ad un convegno organizzato da un partito politico non tollero che i magistrati vadano a braccetto con gli avvocati e che Pubblico Ministero possa diventare chi in precedenza ha ricoperto la funzione di membro di un collegio giudicante nello stesso Tribunale e sullo sciopero dico che un potere dello Stato non può farlo». Ora siamo quasi all'eresia. Un uomo così avrebbe tutte le carte in regola per essere premiato dal Consiglio superiore della magistratura in 30 anni di onorata carriera, ma non è stato così. Perché lui lavora.
I numeri sono dalla sua parte come nessuno dei suoi colleghi in tutta la Lombardia eppure non ha mai avuto un avanzamento di carriera se non quelli legati all'anzianità: ha una media di 250 sentenze l'anno da 30 anni a questa parte. Questo quando ci sono colleghi che arrivano si è no (più no che sì) a 50 e vengono premiati. Tutto qui? No. In tre decenni Piero Calabrò non ha mai depositato un provvedimento con un solo giorno di ritardo. Ed ancora. Tempi record in tutte le decisioni come l'emissione del decreto ingiuntivo lo stesso giorno del ricevimento del fascicolo, così come le ordinanze di separazione dei coniugi il giorno stesso dell'udienza presidenziale. Finito il suo lavoro (sovente si è offerto di coprire i «buchi» lasciati da altri) si dà da fare per informatizzare il proprio ufficio, sovente a spese sue. «Certo i soldi non ci sono, ma se un giudice si ferma davanti ad un toner che non c'è o ad una stampante che non funziona, mi sa tanto di alibi» aggiunge senza polemica. Quando è entrato in vigore il nuovo processo civile entro un anno ha smaltito l'arretrato. I processi da lui durano meno di dodici mesi contro la media di sei anni. E anche da Milano (come confermato da molti avvocati) c'è la speranza di vedersi assegnate le cause con lui, non perché sia loro particolarmente favorevole, ma perché è veloce e lavora. E pure conta la qualità di ciò che decide: molte sentenze sue hanno fatto giurisprudenza.
In questi tempi da lupi e con tali chiari di luna nella categoria sembra proprio una favola. Ma lui non si ferma qui. Nel tempo libero schiva colleghi e avvocati, ma trova intere giornate per fare beneficenza assieme all'amico di sempre Ezio Greggio e alla Nazionale Magistrati. Ha raccolto qualche milione di euro per bambini e donne in difficoltà partecipando anche a trasmissioni televisive come opinionista. Senza contare poi che tiene conferenze in tutta Italia, scrive, si diverte e tiene per sé le sue idee senza strombazzarle.
«La magistratura deve avere coraggio e fare profonda autocritica in termini di laboriosità ed efficienza, il processo civile puoi farlo funzionare se vuoi» dice senza mai alzare la voce. «Tra i giovani colleghi si è insinuata l'idea che se non appartieni a qualche corrente non farai mai carriera. Il Csm lottizzato non è una novità di oggi. Quando sono entrato in magistratura il Vice presidente era Vittorio Bachelet, dopo di lui solo politici. Va riformato e riportato allo spirito della Costituzione, sia nella parte eletta dalla politica che in quella composta dai componenti della magistratura ordinaria.
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