Senza finiani, la Lega unico puntello del governo

Arrivati a questo punto, il refrain sulla «fedeltà» della Lega non può più essere solo un motto ma deve dimostrarsi per quel che è: la vera assicurazione sulla vita della maggioranza. Lo si capisce osservando le simulazioni sull’esito della rottura con i finiani. Alla Camera, una volta tolti i fedeli di Gianfranco, il Pdl rimarrebbe con 246 deputati, ben lontano da quota 316 (metà più uno dei seggi) che assicura la maggioranza. Essenziali sono quindi i 59 onorevoli leghisti (prima erano 60, ma al posto di Roberto Cota è subentrato un neodeputato che non è stato accettato nel gruppo per via di problemi giudiziari) che, con qualche inevitabile approssimazione, potrebbero garantire la tenuta dell’attuale coalizione di governo.
Ipotesi che non tengono conto di possibili contromosse all’uscita di Fini, e che potrebbero contemplare un ruolo per l’Udc, per esempio. Se è quindi la Lega l’ago della bilancia per questa legislatura, la domanda sullo stato di salute dell’alleanza col Pdl diventa cruciale, per allontanare inquietanti spettri del ’94. Tra i deputati del Carroccio la parola d’ordine («avanti col federalismo») sembra potersi declinare in un unico modo, cioè restando uniti a Berlusconi, l’unico che finora (insieme a Tremonti) ha fatto da garante per il cammino della riforma.
Tentativi di approccio, da sponda Pd, non mancano, e l’asse con Errani e Chiamparino nella protesta ai tagli della manovra, ha creato qualche spazio di dialogo su alcuni punti chiave del sentimento anti Roma ladrona. Ma chi volesse per questo adombrare un piedino sottobanco tra Pd e Lega si sbaglierebbe di grosso. Basta vedere come ha risposto Roberto Calderoli alle avances di Bersani, che ammiccando al Carroccio (in fondo fu D’Alema a dire che era una costola della sinistra...) ha detto che «se la maggioranza non ce la fa, bisogna pensare a qualche altra ipotesi». Il ministro bergamasco ha replicato con tono non proprio languido: «Bersani può fare il golpista o l’inciucista solo a livello teorico, perché la Lega non c’è per fare gli inciuci o per andare contro la volontà popolare». Punto e fine, insomma. Anche perché la Lega, ripetono gli uomini del Carroccio, non ha alcun interesse a far collassare la legislatura proprio ora, «a tre quarti del percorso del federalismo fiscale, nella fase più delicata», quella dei decreti attuativi, per avventurarsi in un salto nel buio con un’improbabile coalizione Lega-Pd-Idv. «Una follia», taglia corto un parlamentare leghista, «la nostra base ci salterebbe al collo». Anzi, il distacco dei finiani è «un regalo» per la Lega, che proprio in quella componente aveva trovato finora il maggiore ostacolo per la ridefinzione delle imposizioni fiscali tra Nord e Sud e per la distribuzione dei nuovi costi (in particolare della sanità) delle regioni del Sud, feudo elettorale soprattutto del Pdl finiano.
Nella nuova maggioranza Lega-Pdl berlusconiano, invece, il federalismo potrebbe compiersi nel modo auspicato dalla Lega, cioè con quella «trazione nordista» a cui proprio Fini aveva giurato battaglia.

Nessuna tentazione di rovesciare il tavolo, quindi, dalle parti di via Bellerio, dove anche l’ipotesi di un voto anticipato viene vissuta come un pericolo da scongiurare. Massima fedeltà a Berlusconi, e c’è da crederci. Perché, com’è noto, i matrimoni di interesse alla fine sono quelli più stabili.

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