"La sfida per me è soltanto un gioco"

Federica Brignone, la campionessa di sci e figlia d'arte: "Mia madre Ninna Quario mi ha insegnato a vivere le gare con leggerezza. Ma in pista, come nella vita, bisogna combattere soprattutto contro se stessi"

"La sfida per me  è soltanto un gioco"

Federica Brignone è la principessa dello sci italiano. Guida la classifica delle italiane nella graduatoria generale della Coppa del mondo. È figlia d'arte, la mamma è Ninna Quario, quattro vittorie in Coppa del mondo e ora giornalista sportiva, oltre che consigliera e pr della prode ragazza. Nata a Milano nel 1990, Federica Brignone vive a La Salle, alle porte di Courmayeur. Si è trasferita in val d'Aosta da quando è bimba, cioè da quando ha scoperto che lo sci è la sua passione e che competere è affascinante.

Perché campioni si nasce, corretto?

«Sicuramente devi avere una certa predisposizione. Dipende poi da come uno viene cresciuto. Nella mia famiglia, per dire, tutti sono competitivi, mamma, papà, fratello. Ci siamo sempre sfidati, sugli sci, nel gioco delle carte, ogni cosa era un pretesto per gareggiare. Per i nostri compleanni, mamma organizzava giochi di squadra con premi in palio».

Tanto per misurarsi subito con l'ansia da prestazione...

«Ma allo stesso tempo ho imparato che la competizione è anche un gioco».

Competitiva anche sui banchi di scuola?

«Molto. Il voto alto è sempre stato una molla determinante per lo studio, al di là della curiosità di sapere. Trovo intrigante sfidare se stessi, migliorarsi continuamente. Senza questa molla, non credo che si raggiungano grandi traguardi nella vita».

Federica Brignone sa perdere?

«Da bambina facevo più fatica. Poi ho imparato a gestire il fallimento. Detesto perdere quando so che sono nelle condizioni di poter vincere. Non importa se nello slalom non mi qualifico fra le prime dieci, so che non è la mia specialità. Nessun problema se arrivo trentesima nella discesa. Però se sono nelle condizioni di vincere la sconfitta mi pesa».

Che rapporto ha con le avversarie?

«C'è un rapporto d'ammirazione. So cosa implica questa vita, cosa vuol dire allenarsi ogni giorno, fare trasferte, levatacce... E comunque ammiro gli sportivi in generale, non ho mai provato venerazione per cantanti o attori, ma per gli sportivi molta».

Uno sportivo su tutti?

«Roger Federer senza dubbio. Mi piace vedere i suoi gesti. Comunica un mare di emozioni».

Torniamo alle avversarie. Non è convincente questa sconfinata ammirazione...

«Allora specifichiamo. Noi siamo sì avversarie, ma dal cancelletto di partenza all'arrivo. Poi stop. La sfida è più contro il cronometro che contro le colleghe. In questo sport non devi mettere in difficoltà l'avversario, come nel tennis per esempio. Devi solo sperare di non fare errori e di essere la più veloce possibile».

Ultimo pensiero quando è al cancelletto di partenza?

«Mi ripeto le cose che devo fare, mi concentro sul punto difficile del tracciato, cambia ogni volta quindi deve essere messo a fuoco perfettamente».

Pensieri e gesti scaramantici?

«Niente. Non sono scaramantica. Su di te riposano le speranze dello sci italiano».

È uno sprone o avverte il carico di responsabilità?

«Mi fa piacere questo, ma bado il meno possibile a quello che si pensa, si dice, si pronostica. Mi concentro sullo sci».

Cosa le piace dello sci: il senso di libertà, il gesto, la velocità?

«La combinazione di queste tre cose. Il bello dello sci è che lo pratichi all'aria aperta e in bellissimi luoghi. Sciando hai la possibilità di goderti panorami mozzafiato. Praticassi il nuoto, mi sentirei in prigione. Poi lo sci è vario. C'è quel combattere contro se stessi che trovo così attraente».

Da uno a 10, quanto contano il talento e quanto la disciplina?

«5 e 5». Quanto incide la psicologia? Più semplicemente, la testa?«Incide per l'80%. La testa ti fa allenare bene. Non ti fa sbagliare durante la gara. Ti giochi tutto in un minuto. È facilissimo cadere in errore, non puoi staccarla un solo istante».

Non sarà, quindi di quegli sportivi che, chiuso con le gare, darà l'addio allo sport?

«Provo orrore per queste decisioni. Non entra nella mia testa il fatto che ci sia gente che sta sugli sci una vita, smette di competere e quindi smette anche di sciare. È una decisione che mi fa molta tristezza».

Come è cambiato lo sci agonistico negli ultimi 30 anni, dai tempi di sua mamma?

«Mamma non ne parla tanto, ma da quello che intercetto, capisco che un tempo c'era un lavoro diverso dietro a una vittoria, la preparazione e la conoscenza erano meno accurate. Oggi la preparazione atletica è certosina. E poi siamo veramente in tanti. Un tempo l'accesso allo sci era più limitato. Mamma mi racconta che raggiungere Courmayeur da Milano comportava sei ore d'auto, oggi due abbondanti. Già questo era un handicap, scremava in partenza».

Oggi siete così in tanti che...

«Per vincere ci vuole qualcosa in più. Anni fa, il talento faceva la grossa differenza, ora, in aggiunta, incidono il lavoro fatto con certi criteri e dedizione. I materiali hanno impresso una svolta. La differenza la fa quindi la possibilità economica: più soldi, quindi sci più belli, allenamenti di qualità, team privato...».

Non vi sentite un po' orfane, voi italiane, rispetto a squadre con supporti di ben altra consistenza?

«Le austriache, per dire, contano su un budget quadruplo rispetto al nostro. Hanno possibilità di allenarsi in modo diverso rispetto a noi. Peccato perché ci sono tanti italiani e italiane di talento. E si vede dai risultati. Mi auguro che la Federazione si rialzi».

E che dire delle americane? Lindsey Vonn, Shiffrin... una valanga a stelle e strisce.

«Gli Usa sono una buona scuola di competitività. E comunque loro puntano su 3 o 4 atleti e li spingono all'inverosimile».

Riesce a vivere lo sci anche come divertimento?

«La neve fresca è divertimento puro, non conta come scii. Mi piace da morire. Confesso che da bambina odiavo allenarmi a fare i pali, le alternative erano due: o le gare o la neve fresca nei boschi, in valle d'Aosta c'è l'imbarazzo della scelta. Ora non ho il tempo per fare neve fresca, se riesco è a fine stagione, con gli amici andiamo per canali. Quando finirò la carriera mi dedicherò a questo, prenderò degli sci larghi e giù!».

Lo sci implica tanta solitudine. Si gareggia, ci si allena, si scia da soli. Non ne soffre lei che è socievole?

«In realtà c'è la squadra dietro. Si condivide più di quanto si immagini, a partire dalla stanza durante le trasferte. Si condividono poi anche i dolori. Siamo in un bel gruppo di ragazze».

In trasferta si cucina pure?

«Negli Usa rigorosamente. Non mangiamo quella roba americana... per il resto stiamo in hotel, si fa e si disfa la valigia continuamente». Soffre il jet-lag durante le trasferte?«Non tanto per fortuna. Stare sveglia fino a tardi non è una fatica, anzi. Durante l'inverno si va a letto presto, alle 22.30. Però non appena finisce la stagione delle gare, mi piace stare sveglia ben oltre la mezzanotte. Cerco sempre di dormire otto ore, comunque».

Come si vede per i prossimi dieci, quindici anni?

«Spero con una famiglia, bambini, due al massimo però. E poi chissà, non mi dispiacerebbe il giornalismo sportivo. Quando smetterò capirò. Voglio fare solo ciò che mi rende soddisfatta. L'idea è quella di arrivare alla vecchiaia senza rammarichi, e con la percezione di avere vissuto l'esistenza desiderata».

La vita da atleta è corta. Questa consapevolezza la spaventa?

«Fa parte del gioco. Ma non è poi così male che sia corta. Altrimenti il fisico morirebbe, non lo si può sottoporre continuamente a questo stress».

Perché lo sci ha le sue durezza.

«Per chi lo fa come noi, è duro. Ci si alza all'alba, si carica e scarica l'attrezzatura, ore ed ore sul pulmino. Tutti i giorni, da ottobre a maggio, ci si allena. Sì, è dura».

Pratica altri sport?

«Io sono una sport-dipendente. Mi piacciono il tennis, l'arrampicata, il golf, il trekking, lo sci di fondo e d'acqua. E su tutti, il surf».

Federica Pellegrini ha definito il nuoto uno sport introspettivo. E lo sci?

«Introspettivo e riflessivo, una lotta contro il tempo che non consente di spegnere la testa per un solo istante».

Sempre a proposito della Pellegrini. Sfilerebbe in passerella?

«Sì, anzi, mi piacerebbe. Sono attratta dalla moda, mi piace vestire bene».

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