La sfida del Professore

Le nozze tra Banca Intesa e SanPaolo faranno nascere la più importante banca italiana, la settima in Europa. Il medesimo matrimonio partorirà la prima e genuina banca prodiana. Doc. I due eventi sono direttamente collegati e non necessariamente negativi (per quanto riguarda le coloriture politiche). Tanto che il mercato in prima battuta sembra apprezzare.
Anche nei Paesi a capitalismo più evoluto la grande impresa talvolta si porta appresso una targa. Non la nasconde, ma non è neanche vittima. Esibisce senza ipocrisia la propria tendenza.
Ebbene, con la conquista soft da parte dei milanesi di Intesa dei concorrenti torinesi del SanPaolo, Prodi celebra un suo preciso disegno di politica economica: rafforzare il sistema bancario italiano, mettendolo al contempo al riparo dagli appetiti stranieri. E lo fa con un’esuberanza da primo della classe. Le altre ipotesi di nozze presenti sul tappeto (Capitalia per Intesa e Mps per il San Paolo, con l’Unicredito terzo regale incomodo) sarebbero infatti state molto meno congeniali per Palazzo Chigi.
Soltanto poche settimane fa, per dare il senso dell’attenzione prodiana agli affari della nostra industria, fu una telefonata dell’entourage del premier, a convincere gli americani di Carlyle e Finmeccanica a cedere i motori della Avio ai fondi amici della Cinven. Un bel contratto vicino ai 2,6 miliardi di euro. Insomma, a Palazzo Chigi la nuova merchant bank (per parafrasare l’attivismo di cui fu accusato il governo D’Alema) non solo fa affari, ma sa parlare anche inglese.
A differenza della «razza padana» che con D’Alema premier conquistò la Telecom, questa volta la «fusione del secolo» si regge sulle spalle di due attori dell’economia italiana storici e ben consolidati: nessun salto nel buio. Giovanni Bazoli, numero uno di Intesa, ed Enrico Salza, numero uno del SanPaolo, oltre che supporter del presidente del Consiglio, sono sulla scena da sempre e solo pochi mesi fa avevano trovato un entente cordiale nello scegliere il presidente dell’Abi. Insomma sono establishment con i fiocchi, che, unito, ha saputo dirigere le scelte più importanti. Il loro accordo svela altre due caratteristiche del nuovo corso. La prima è la capacità di coniugare buoni progetti a interessi di parte. Negli assetti di vertice della nuova banca, sostanzialmente non troveranno in prospettiva spazio l’amministratore delegato del SanPaolo, Alfonso Iozzo, e il direttore generale Pietro Modiano (sorpreso addirittura in vacanza a Capri dall’annuncio della convocazione dei cda). Entrambi diessini, per passata militanza e interessi anche recenti. Insomma il «coté rosso» perde peso, tanto che D’Alema, viene dato dal tam tam romano come furibondo.
La seconda caratteristica del milieu prodiano è la sua natura tecnocratica e autoreferenziale. La nascita della più importante banca italiana è dovuta alla decisione di pochi e selezionati manager: nella fattispecie Bazoli, Passera e Salza. Con gli azionisti praticamente all’oscuro, se non nei casi di indispensabile ricerca del consenso come è avvenuto nei confronti degli soci francesi di Intesa. Un processo dunque inverso rispetto al meccanismo più tipico del capitalismo di mercato, che vede gli azionisti dettare le scelte ai manager. Un’ultima considerazione la merita il padre di questa grande operazione: Bazoli.

Mentre si consumava una sua apparente sconfitta all’interno del salotto buono della Rcs-Corriere della Sera che faceva fuori l’amministratore delegato voluto dal banchiere, questi lavorava alla più grande fusione creditizia mai fatta in Italia. Il banchiere bresciano ha troppo stile per avere un tratto vendicativo, ma i cospiratori del Corsera ora giocano in difesa.

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