Uno sguardo attento alla storia degli occhiali

Un piccolo saggio ci aiuta a riflettere su quello che molti di noi, volenti o nolenti, sono obbligati a portare appoggiato sul naso

Matteo Sacchi
Ce li appoggiamo sul naso senza pensarci troppo, sono i nostri moderni «Oculis de vitro cum capsula». Eppure dietro agli occhiali c'è una storia lunghissima, in parte ancora oscura, e anche un bel po' di filosofia. Per rendersene conto niente di meglio che sfogliare Gli Occhiali. Scienza, arte, illusioni di Arnaud Maillet (Raffaello Cortina Editore, pagg. 126, euro 14). Si tratta di un mini saggio, agile per numero di pagine ma molto denso per quanto riguarda i concetti.
Mailett, che è uno degli storici dell'arte e della visione più noti, parte dai fatti, già complessi di per sé, per fare un ragionamento filosofico su quella che definisce «una protesi nata per migliorare la vista ma che finisce spesso per accecare». E questa idea nel libro viene declinata attraverso una infinità di percorsi, guardata da tutte le angolazioni, quasi che l'autore avesse deciso di indossare lui stesso delle lenti molto sfaccettate. Ecco allora susseguirsi, le vicende personali di Salvino D'armato il presunto inventore di tanto prodigio oculistico, riflessioni mediche, discussioni filosofiche sul senso della vista, incursioni nei mondi fantastici di Huxley e quant'altro.

La conclusione di tanto ragionare: «gli occhiali ci mettono di fronte ad aberrazioni sia ottiche che concettuali... Per quanto perfezionata, nessuna protesi risolverà mai le cause della sua necessità...». Tutto vero e ben spiegato. Ma meglio un'aberrazione ottica che l'andare a sbattere contro un palo

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