Shakespeare neutralizza le armi della retorica

Debutta «Giulio Cesare», amara riflessione sui rapporti tra morale e politica. In scena Massimiliano Sbarsi, Alfonso Veneroso e Melania Giglio. Repliche fino al 6 settembre

I volti degli attori coperti da vistose maschere che amplificano e sottolineano la valenza simbolica del testo ricreando un evidente clima da tragedia classica. Sta qui la nota più originale della regia del Giulio Cesare di Shakespeare che, a firma di Daniele Salvo, debutta al Silvano Toti Globe Theatre di Villa Borghese domani sera. Spettacolo tra i più attesi del cartellone estivo, tutto rigorosamente shakespeariano, messo insieme da Gigi Proietti per la struttura capitolina (cartellone che promette ancora un titolo comico, Come vi piace, e che si chiuderà solo a metà settembre), dove la nuova traduzione di Masolino D’Amico e gli interpreti scritturati nel cast non fanno che offrire ulteriori garanzie di successo. A stuzzicare pubblico e addetti ai lavori è però soprattutto l’idea delle maschere - una seconda pelle in lattice quella pensata per Cesare, mentre gli altri personaggi indossano dei calchi realizzati in materiali innovativi - perché suggerisce un esplicito bisogno di dire con enfasi e rigore stilistico che qui si parla di potere, di deterioramento dell’immagine pubblica, di governanti che diventano tiranni, di manipolazione, di omicidi illustri «presumibilmente» giusti, per quanto destinati a rimpiazzare vecchie tirannie con forme di potere votate anch’esse a degenerare e produrre marciume.
Ecco dunque che la grande metafora a radice storica impiantata da Shakespeare in questo capolavoro - siamo negli anni della definitiva decadenza fisica di Elisabetta I e del grave problema legato al futuro della corona inglese - accorcia le distanze tra Roma antica e la fiorente stagione elisabettiana, puntando l’attenzione non solo e non tanto sul nome del titolo (qui lo interpreta Massimiliano Sbarsi), quanto sul suo assassinio e, soprattutto, sulle figure maschili incaricate di sbrigliare la matassa della successione a Cesare: il triumviro Marc’Antonio/Alfonso Veneroso (il suo celebre monologo sul cadavere di Cesare - «Amici, romani, popolo mio! Ascoltate: vengo a seppellire non a lodare Cesare» - rappresenta il nodo centrale dell’intero dramma) e i congiurati/omicidi Bruto/Gianluigi Fogacci e Cassio/Giacinto Palmarini. Saranno proprio i «dubbi» di Bruto, anzi, a sottolineare il reale problema messo a fuoco nel testo: il limite tra politica e morale, tra lecito e illecito. Motivo per cui la tragedia si rivela oggi di forte attualità (ne ricordiamo una splendida e moderna versione presentata al teatro India qualche anno fa dal regista catalano Álex Rigola), non fosse altro perché, complice la forte umanità del linguaggio e delle situazioni, funziona assai bene come vettore di riflessione. «Shakespeare - spiega il regista - prende in esame un aspetto attualissimo del potere: il controllo del linguaggio.

Chi controlla l’uso del linguaggio ha in mano le folle, il consenso». Unica ma importante presenza femminile quella della brava Melania Giglio (nel doppio ruolo di Calpurnia e Portia).
Spettacolo ore 21. Repliche fino al 6 settembre. Info: 06/82059127.

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