«Sharon ha un carisma unico ma Israele troverà un erede»

La giornalista-saggista Fiamma Nirenstein: «È riuscito a cogliere un sentimento profondo della nostra società e lascia una classe dirigente fortissima»

«Sharon ha un carisma  unico ma Israele troverà un erede»

Luca Telese

da Roma

«Se dovessimo riassumere il senso di quel che sta accadendo, direi: Sharon è un leader unico. Ma non insostituibile». Fiamma Nirenstein - firma-bandiera della Stampa da Tel Aviv, saggista, storica della tormentatissima vicenda del processo di pace in Israele - è una delle giornaliste che più si sono esposte, nel nostro paese, per sostenere la credibilità del premier israeliano, ma spiega perché le sue due affermazioni non sono contraddittorie. Da cinque anni vive sotto scorta. Oggi ride amaro: «Malgrado le accuse che mi hanno rivolto non sono una... ebrea pazza, ma una giornalista italiana che credeva in Sharon perché guarda la società israeliana con i suoi occhi di cronista». Così, il tentativo di capire cosa aspetti Israele non può non partire che dalla rilettura della figura del premier.
Secondo un luogo comune che in questi giorni affiora su molti giornali, sembra che esistano due Sharon, uno «buono» e uno «cattivo». Lei non è d’accordo, vero?
«Assolutamente no. Prima di tutto perché non esiste lo Sharon "cattivo". Molti dimenticano, o non sanno - per esempio - che il premier israeliano intraprese e vinse una causa contro il Times, che gli addebitava responsabilità dirette nel massacro di Sabra e Chatila».
Era ministro della Difesa...
«Esatto. Ma venne dimostrato che gli autori del massacro erano cristiani maroniti. La giustizia israeliana, più equilibrata che altrove, in un altro giudizio sostenne: non fu responsabile diretto, ma poteva far di più per evitare la strage».
Un’«omissione di soccorso»?
«Ecco, più o meno. Allo stesso modo i detrattori di Sharon dimenticavano volutamente che già Begin si era affidato a lui per sgomberare il Sinai, dopo la prima Camp David... È caricaturale, insomma, l’idea del soldato feroce convertito alla pace: Sharon è sempre stato un uomo forte e risoluto, convinto che la premessa di tutto fosse la lotta senza quartiere al terrorismo. Ma nasceva laico - addirittura socialista - dotato di un forte senso pragmatico».
Negando l’idea dello «Sharon buono», lei rifiuta anche quella che il processo di pace fallirà per la sua uscita di scena.
«È proprio così, e lo dimostrano i sondaggi di queste ore che continuano ad assegnare al suo Kadima intenzioni di voto intorno al 40%. Questo perché Sharon non ha tratto la sua ultima idea politica dal nulla. Al contrario: ha colto un sentimento profondo che era maturato nel cuore della società israeliana».
Qual è la differenza di fondo con il pacifismo dei laburisti?
«Enorme. Ancora oggi il nuovo leader, Peretz, è ancorato all’idea del land-for-peace, che suona un po’ come: "Wow! Diamo la terra ai palestinesi, e tutto si risolverà". Non era così: con il suo ritiro unilaterale, unito alla mano dura contro il terrorismo kamikaze, Sharon aveva colto l’unica via possibile».
Se Kadima è figlio di questo moto, la sua politica può continuare anche con Peres?
«Ahimè, Peres ha 83 anni: con quello che è accaduto è molto difficile che la guida possa essere lui».
E Ehud Olmert, che viene dipinto come un grigio numero due?
«Lui potrebbe. Olmert non ha né il prestigio militare di Sharon né quello intellettuale di Peres. Ma non va sottovalutato, fa politica da trent’anni, da sindaco è stato un Rudolph Giuliani di Tel Aviv».
I falchi israeliani si fidavano di Sharon perché erano convinti che avesse il polso necessario.
«Ma Olmert è stato il regista del programma di sgombero dai territori occupati, e ha dimostrato di saper tenere in mano una complicatissima agenda».
Perché i coccodrilli su Sharon le fanno pensare all’odio antisemita?
«Per lo stesso motivo per cui l’idea di accostarlo a Hitler - cosa che si faceva spesso in Italia - mi sembrava aprioristica, ideologica, antisemita. Si pensa che la società ebraica sia in preda all’emotività».
Lei pensa il contrario.
«Sì, perché c’è una classe dirigente fortissima. Personalmente ho una predilezione per Tzipi Livni, una cinquantenne del Kadima molto in gamba».


Dopo Sharon e Rabin sembra finito il tempo degli eroi?
«Non è così, Per me è un eroe anche il cameriere Shlomi Cafit, che ha rischiato la vita per bloccare a mani nude un kamikaze nel suo ristorante. Di eroi come questo l’Israele di oggi ne ha tanti».

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