Si rivede Moretti, il menagramo del centrosinistra

RomaSan Giovanni, la messa è finita. Gli amici tutti via, una palombella grigia razzola tra cumuli di pattume. Tutto sommato, è stato un caos calmo. Le squadre speciali non sono ancora entrate in azione per far tornare la piazza se non bianca, almeno accettabilmente pulita. Per terra accanto al palco, in un angolo, un foglietto sgualcito. La grafia puntuta, minuta, piena di cancellature e rifacimenti. Con un po’ di pazienza si riesce a decifrare. Sono appunti, confidenze a se stesso.
«Caro diario. Siamo alle solite. Vado, non vado? Ho in uggia tutti questi stramaledetti blogger: già mi tediava la Rete, che neppure si poteva insaccarci un pallone. E il mio computer sempre acceso nella stanza del figlio, tutto il giorno a rimbambirsi con i videogiochi e le donnine nude, glielo leggo negli occhi. Poi è arrivato pure Facebook e questi sconosciuti che ti chiedono amicizia per mettere il naso nei cazzi tuoi. Tutti che cercano di sapere che faccio, che farò, che ho fatto. Ancora sta storia del sesso con la Ferrari. Ma se mi gira posso avere chiunque, pezzenti e guardoni che sono. E questo orrendo colore viola, poi... Farà tanto vintage, è tanto alla moda, ma porta anche tanta sfiga. E noi siamo artisti, mica vescovi. No, non vado.
«Però se non vado e la Cosa non riesce, tutti sti caimani diranno che mi sono tirato indietro per la seconda volta, un cliente perduto della sinistra girotondina. Diranno che non sono più l’autorità morale che sono: eppure questo popolo senza di me finirebbe a pietire un posto di portaborse a Silvio, che non è mica Orlando. Già vedo sbattere su Youtube il film di piazza del Popolo, quando ero padre padrone del movimento e mi presi la bella soddisfazione di dirglielo in faccia, a quel mascalzone di Massimo, a quello smidollato di Piero, al piacione Franciasco, al caro Walter sempre imbambolato. “Con questi leader non vinceremo mai!”, gridai: la piazza trovò in me l’ecce bombo che cercava. Ma sì, vado».
«Però se vado e salgo sul palco, dovrei essere all’altezza della situazione e dire le cose che penso per la seconda volta. Che il Pd mi fa schifo, ribrezzo, noia. Che Bersani dovrebbe ingozzarsi di nutella e la Bindi fare la calza. Che di Di Pietro ho un po’ paura, e che il suo italiano mi dà l’orticaria. Che ignorante, che massa di ipocriti. No, non vado».
«Però se non vado, chi lo sente Flores D’Arcais? Una sua telefonata mi appalla e solo al pensiero svengo. E Travaglio ne approfitterà per mettermi alla berlina da Santoro. Mi daranno del venduto, sospetteranno che ad aprile ho già pronto un film con la Medusa o un libro per la Mondadori. E invece resto un autarchico. Inguaribile.

Faccio da me: vado e mi metto in un angolo della piazza. E non parlo, mi dovessero strozzà se parlo. Sorrido. Sì, ogni tanto fingo di sorridere. Sogni d’oro, caro Nanni».
Sì, Moretti c’era. E lottava assieme a loro.

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