Sindrome Pdl, l’opposizione ha già paura e attacca Fini

PREOCCUPATI Democratici e centristi temono che la nascita del partito unico infligga loro altre sonore sconfitte

RomaMa questo Pdl insomma, è un partito effimero, di carta e aziendale, o una cosa seria e forte, un progetto con solide basi e di lungo respiro? E Gianfranco Fini è un succube e un illuso, un burattino nelle mani del Cavaliere nero, oppure uno statista di rango, il fine stratega al quale nessuno più osa insidiare il ruolo di numero due e delfino, alla guida del centrodestra? Mai come in questi giorni e su questo tema, l’opposizione risuona confusa e contraddittoria, sembra tornata ai bei tempi dell’Ulivo diviso sinistra spaccata. Lo stesso Pd è un juke box impazzito, ogni esponente suona il proprio disco coprendo l’intera scala armonica, dal giudizio più nero a quello più entusiasta. Ricordate Prova d’orchestra di Federico Fellini? Così le opposizioni e non solo, a dimostrazione che non riescono a dotarsi di un maestro d’orchestra autorevole, e che la fusione a caldo del Pdl le sta mettendo in crisi. Era un apologo, quello del grande regista. E le reazioni così discordanti evocano un altro apologo, quello della volpe e l’uva. Oppure la rana che invidiava il bue. Dal fondo però, emerge un sentimento che è umano ma travalica la prudenza politica. S’avverte infatti il timore che dal congresso di scioglimento di An e da quelli minori in corso, scaturisca domenica prossima una forza tutt’altro che di plastica, capace di infliggere agli avversari nuove sconfitte.
Via, come può spiegarsi che nella stessa giornata si senta Pier Ferdinando Casini dire che quella di Fini «è stata una scelta di opportunismo», Pierluigi Bersani dargli dell’«illuso», e Guglielmo Epifani affermare invece che «è un personaggio di levatura alta»? Dopo che, a Fiamma appena spenta, Dario Franceschini aveva salutato il passaggio come «un fatto positivo», i dipietristi lanciavano l’anatema sulla «giornata dell’ipocrisia» (Massimo Donadi) irridendo Fini «suddito di Berlusconi» (Stefano Pedica), Marco Pannella definiva «splendido» il discorso di Fini, e Massimo D’Alema sminuiva tutto spiegando che «il fondamento di questo processo» sta interamente nella persona di Berlusconi. Col casiniano Luca Volontè che stroncava il messaggio di Fini accusandolo di «laicismo radical massonico». E persino la Lega, senza nulla da ridire perché il galateo tra alleati va rispettato, s’è lasciata comunque sfuggire una nota di preoccupazione per il varo concreto e massiccio del Pdl, rivelando che «svariati scontenti» stanno trasferendosi sul Carroccio.
Avevate mai sentito tanta cacofonia? A chi bisogna dar retta, fra Casini, Epifani, D’Alema e Franceschini? Il più sorprendente è senza dubbio il segretario generale della Cgil, che ha «apprezzato» la presentazione a Montecitorio dello sceneggiato televisivo su Di Vittorio, e dell’intervento del presidente della Camera al congresso di An ha detto senza se e senza ma: «Quello di Fini è stato un discorso di alto profilo. È un personaggio di levatura alta». O s’è esaltato Epifani o s’è votato allo scetticismo pregiudiziale Bersani, che liquida: «Da Fini c’è l’illusione di voler coniugare un partito conservatore ed un partito moderno, ma questo non si può fare perché c’è Berlusconi, e il berlusconismo è il berlusconismo». Pur se l’Oscar del contorsionismo va a Casini, forse preso dalla sindrome del “potevo esserci io al posto suo”, che di Fini come presidente della Camera dice che «sta facendo bene», però lo vede con An schiacciato da Berlusconi e da un destino inevitabile, poiché il Pdl «somiglia solo ad una grande Forza Italia». E con una punta di aceto - l’uva per lui è rimasta acerba? - spiega che probabilmente «Gianfranco ha fatto una scelta opportunista, visto il giudizio negativo che aveva dato dopo il discorso di Berlusconi dal predellino. Credo che stia facendo di necessità virtù».
Ma è nel Pd che s’avverte fragorosa l’assenza di un direttore d’orchestra, almeno di una cabina di regìa. Intanto il silenzio assordante di Francesco Rutelli, Enrico Letta, va bene Veltroni che s’è pensionato, ma pure Piero Fassino e quasi tutti gli altri. Che cosa aspettano, la sintesi tra Bersani, D’Alema e Franceschini? Il quale segretario sembra star coi piedi più in terra degli altri, ma gonfiandosi come la rana col rischio di scoppiare. Perché senza tentennamenti ha dichiarato che «restano i nostri avversari, ma la nascita del Pdl è un fatto positivo per la democrazia italiana». Subito però, sparando: «Il Pdl è molto più indietro del Pd».


Qualcuno può spiegare agli orchestrali del Pd, che la concretezza e il successo del Pdl sono l’unica garanzia per la loro sopravvivenza come partito dopo la prossima sconfitta di giugno? Se il Pdl è una cosa seria, e se Fini saprà amministrare il proprio ruolo come ha fatto sinora, l’opposizione non potrà frantumarsi ancora, pena l’estinzione. Forse Franceschini e D’Alema dovrebbero convocare un seminario interno. Alle Frattocchie, oppure a Santa Dorotea.

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