Da Sivori a Trezeguet, il romantico diventa killer

Omar e David, com’è piccolo il calcio. Cinquant’anni di pallone per dire: t’ho raggiunto. Oggi il ricordo è tutto uno sfarfallio, Trezeguet che segna quanto Sivori con la maglia che vale una carriera. E con la sigla di miglior cannoniere straniero nella vita della Signora. E tanti a dire: che bravo! Che bello! Che impresa! Che storia! Vero, ma c’è storia e storia. Questa, per esempio, dice che solo la statistica (167 gol a testa) li mette alla pari. Il resto è un netto voltar pagina.
Sivori e Trezeguet sono la più efficace rappresentazione dell’evoluzione del calcio e dei suoi costumi, della disumanizzazione, del suo perder la vena romantica per lasciar posto solo a sostanza, che si può tradurre in gol o in danari. Sivori arrivò in Italia per 160 milioni, Trezeguet è costato 45 miliardi. Omar giunse alla rete 167 con una doppietta rifilata in coppa delle Fiere al Lokomotiv Plovdiv. Contro l’Atalanta, David ha provato la doppietta per il sorpasso, ma un gol era in fuorigioco e l’altro è stato l’essenza del suo gioco e della sua storia: rapinoso, sostanzioso, opportunistico.
Il pallone non poteva raccontarci miglior verità: oggi è scarnificata sostanza, ieri godibile virtuosismo. Sivori era calcio romantico e bizzoso, divertimento puro e giocate d’istinto, cattiveria e follia. Trezegol è solo effetto, football ridotto all’essenziale. Se segni sei grande, se non segni non servi. Difficoltà ad entrare in un coro, ma anche ad essere un giocatore fuori del coro. L’invenzione non è sorpresa, soltanto pescare il massimo con il minimo sforzo.
Trezeguet è il cannoniere che arriva a 20-24 gol a campionato, ma non vincerà mai il Pallone d’oro. Sivori arrivò a 28 senza essere un goleador puro, vinse il Pallone d’oro (1961) senza bisogno di tanta fanfara intorno. Bastavano le giocate e non c’era nemmeno la tv ad amplificare. Tutti e due hanno interpretato lo spirito di due mondi Juve. Sivori quello di Platini, Zidane e Baggio. Trezeguet è stato il seguito di John Charles e Paolo Rossi. Potrebbero guardarsi allo specchio e non sapere se l’uno sia calciatore. Non ne riconoscerebbero l’identità, i principi fondamentali del loro essere nel calcio e vivere per il pallone.
Sono, e sono stati, grandi. A modo loro. E come i grandi dello sport interpretano le sue essenze. Basta sfogliare un album, per riconoscerne alcune. Sivori è Robinson nella boxe, Senna nella Formula 1, Mc Enroe nel tennis, Eddy Merckx nel ciclismo. Quelli che ti fanno godere sempre, basta che ne abbiano voglia.
Trezeguet ha la killeristica determinazione che fu di Carlos Monzon o di Mike Tyson, l’essenzialità di Niki Lauda e Bjorn Borg, la scarsa spettacolarità di Miguel Indurain.
Vero, nessuno dei due sarà mai un Maradona, un Pelè, forse un Messi e nemmeno un Ronaldo (quello brasiliano). Ma dietro questa sfida durata 50 anni, si è dipanata l’evoluzione del calcio, il conservarsi di una tradizione.

Trezegol ha messo nove anni per arrivarci: tutto cominciò il 19 settembre 2000 in una notte di Champions (Juve-Panathinaikos 2-1). Sivori si fermò il 14 aprile 1965. Lasciò un ricordo indistruttibile e un record da tramandare solo a un mezzo sangue argentino. Forse un segno, e un sogno, del destino.

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