La società «aperta»

U no dei grandi problemi della modernità è rappresentato senz’altro dall’espansione inarrestabile della secolarizzazione, vale a dire da quel processo culturale di «disincanto del mondo» - per usare la celebre espressione di Max Weber - che sembra spingere sempre più l’umanità in un vortice nichilistico senza alcun approdo benefico. Ne risulta un relativismo dei valori che di fatto tende ad erodere ogni certezza etica e ideale. È vero che in questi ultimi tempi vi è stato anche un recupero della fede religiosa, però sulla veridicità di questo fatto la questione è molto controversa. Sia come sia, poiché la modernità è, in sostanza, uso universale della razionalità, istituzionalizzazione controllata del mutamento sociale e del mutamento culturale, allargamento della partecipazione politica, espansione del sistema di comunicazione, sviluppo scientifico e cultura laica, dovremmo concludere che risulta alquanto difficile tenere separata questa parte positiva da quella negativa costituita dagli effetti nichilistici; tenere a freno, cioè, gli esiti distruttivi della continua metamorfosi del profano a scapito del sacro. Si deve insomma convivere con questa permanente tensione della società contemporanea?
Sono queste - e molte altre - le domande che sorgono leggendo l’ultima opera del maggior studioso italiano di sociologia politica: Luciano Pellicani, Dalla Città sacra alla Città secolare, Rubettino, pagg. 346, euro 22. Pellicani ricostruisce il lungo tragitto del pensiero occidentale rispetto a tale problema, così come esso si è svolto dai Greci ai nostri giorni. Affronta in tal modo uno dei nodi teorici più problematici del dibattito filosofico, storico e sociologico. La sua tesi di fondo si può riassumere nella considerazione, secondo cui, per dar conto dell’intreccio indissolubile tra modernità e secolarizzazione, è necessario affrontare la natura del capitalismo, il quale non è caratterizzato dalla civiltà industriale, ma dal mercato. Ne deriva che anche la genesi e lo sviluppo della secolarizzazione devono essere visti con un’ottica diversa. Vi è modernizzazione, e dunque secolarizzazione, laddove esiste la separazione tra la società politica e la società civile, quale logica conseguenza della dialettica continua fra economia e politica, fra società e Stato; dialettica il cui motore è dato dalla centralità del mercato quale luogo impersonale di garanzia della libertà. Libertà e mercato sono costitutivi del capitalismo, e dunque della sua anima espressa dalla modernizzazione e dalla secolarizzazione.
A differenza di qualsiasi altra civiltà, l’Occidente ha dunque il suo fondamento storico su questa separazione fra la società politica e la società civile. La cultura occidentale risulta attraversata dal conflitto fra lo spirito greco e lo spirito giudaico, fra Atene e Gerusalemme, cioè fra l’illuminismo e il messianesimo. A questa antinomia che divide il principio razionale dal principio divino, la filosofia dalla teologia, va anche aggiunta quella fra Sparta ed Atene, ovvero tra una concezione «chiusa» e una concezione «aperta» della società; tutte tradizioni di pensiero che hanno convissuto senza mai riuscire a prevalere l’una sull’altra in modo definitivo. Il che ha conferito all’Occidente, come scrive l’autore «un carattere quasi schizoide». I contemporanei sono obbligati a muoversi «fra la Scilla della negazione di sé e la Cariddi dell’autodistruzione»; due polarità che sanciscono la condanna storica della società contemporanea. Si tratta infatti di un dualismo che ha interpretato la natura umana in modo drammatico, dato che questa sembra incapace di risolversi in un'esperienza solo religiosa o solo terrena; il che rende molto complessa e molto difficile l’interpretazione del passaggio storico dalla Città sacra alla Città secolare.


Lo confermano i continui rigetti al processo di secolarizzazione rappresentati non soltanto, ovviamente, dalla religione cattolica, ma anche da tutte quelle religioni dell’immanente, come ad esempio il comunismo e il fascismo, che possono senz’altro essere definite come forme esplicite di reazione alla modernità, essendo questa caratterizzata, prima di tutto, da un irriducibile individualismo. Il weberiano «disincanto del mondo» produce anomia e l’anomia produce una continua domanda di senso priva di una risoluzione definitiva.

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