Le pagliacciate che ridicolizzano le lotte femministe

Dovrebbero essere per prime le donne, e ancor di più le femministe, e comunque tutte le persone che hanno a cuore i diritti di genere, a ribellarsi contro certe tragicomiche buffonate

Le pagliacciate che ridicolizzano le lotte femministe
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Dovrebbero essere per prime le donne, e ancor di più le femministe, e comunque tutte le persone che hanno a cuore i diritti di genere, a ribellarsi contro certe tragicomiche buffonate.

L'ultima è quella di una commissione del Comune di Milano che ha bocciato l'installazione, in piazza Duse, di una statua raffigurante la maternità, peraltro opera di un'artista con l'apostofo, quindi donna. «Non rappresenta valori condivisi da tutti i cittadini e le cittadine», hanno motivato i geni della commissione, la quale non si capisce a chi risponda, visto che il sindaco Sala dice che non è d'accordo con la sua decisione, l'assessore alla cultura neanche, le donne del Pd neppure. Ma al Comune di Milano chi comanda?

Ora, a parte il fatto che se ogni opera d'arte dovesse essere condivisa da tutti i cittadini e le cittadine non ve ne sarebbe esposta neppure una in tutto il globo terracqueo, andiamo al punto. L'assurdità di bocciare la statua di una donna che allatta è solo l'ultima di una lunghissima serie.

Nei giorni scorsi il consiglio

di amministrazione dell'Università di Trento ha approvato all'unanimità un nuovo regolamento generale nel quale tutte le cariche sono declinate al femminile. «Ci siamo riferiti alla persona», ha spiegato il rettore. Ma persona è neutro (individuo della specie umana, senza distinzione di sesso, età, condizione sociale e sim., dice la Treccani): ricercatrice e amministratrice no. Basterebbe rispettare la lingua italiana, e scrivere che ci sono professoresse e professori, e così via.

A scanso di equivoci, penso che Giorgia Meloni sia la, e non il, presidente del Consiglio. E penso che così come per secoli sono esistiti maestro e maestra, cameriere e cameriera, infermiere e infermiera, ginecologo e ginecologa, anche senatore e senatrice da qualche decennio, sia giusto declinare al femminile tutte le professioni, quando svolte da una donna. Per rispetto della lingua italiana, dicevo: ma pure per evitare equivoci. A Checco Zalone dicono di entrare nell'ufficio del direttore, lui apre la porta, vede un uomo e una donna e si siede davanti al primo, che invece è il segretario. Il seguito è la comicità di Checco. Ma se nella vita normale ti dicono di entrare dalla direttrice, non puoi sbagliare.

A proposito di equivoci. Se scrivo il primo ministro e il suo ex compagno, di chi sto parlando? Se

di Giorgia Meloni e Andrea Giambruno, sbaglio. Se mi riferisco alla Francia, dove il premier Gabriel Attal è stato legato da Pacs all'attuale ministro degli Affari Esteri Stéphane Séjourné, do effettivamente conto di una realtà. L'uso corretto della lingua evita confusioni.

E insomma che le donne abbiano vissuto in una condizione di subalternità per secoli, e che anche il linguaggio possa aiutare, d'accordissimo. Ma chi ha a cuore questo tema dovrebbe ripeto, per primo dire basta agli asterischi, alla revisione di film e libri, insomma alle pagliacciate.

Il rettore dell'Università di Trento (maschio, ma rettrice per il nuovo regolamento generale) ha detto che hanno voluto lanciare una provocazione. Si può credere alla buona fede, non al risultato ottenuto, che è un autogol.

Certe ideone sono contro a tutto: alla lingua italiana, al buon senso, all'intelligenza, perfino alla prolattina e alle ghiandole mammarie.

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