"Sono ancora rivoluzionario. E potrei anche sparare"

Parla Oreste Scalzone, il leader di PotOp, rientrato ieri in Italia dopo la prescrizione. Lascia Parigi dove ha vissuto al sicuro gli anni della latitanza e attacca le vittime del terrorismo: "Fanno carriera politica con il dolore". Dopo 25 anni il cattivo maestro è tornato e confida: "Ho ancora voglia di rivoluzione"

"Sono ancora rivoluzionario. 
E potrei anche sparare"

Savona - Chissà che dirà Olga D’Antona, moglie del professore ammazzato dalle Brigate rosse. Chissà che diranno quelli che hanno visto il marito cadere imbottito di piombo. Il cattivo maestro è tornato. Oreste Scalzone, l’ex leader di Potere Operaio, dopo 25 anni di latitanza a Parigi, incassata la prescrizione, è di nuovo in prima linea. Da ieri mattina, dopo un’ultima cena a Nizza, ospite, con gamberi e coquillages, è rientrato in Italia: gira il Paese a bordo di un camper. E attacca proprio loro, i parenti delle vittime del terrorismo. Ricatta sottosegretari. Sogna un tavolo comune politici-ex terroristi (senza parenti) per chiudere gli anni di piombo con un’amnistia.
«Di quegli anni - annuncia - voglio parlare dei morti che ho sentito come carne della mia carne...». Si ferma e sferza: «Vabbè non sarò un parente, un fratello e infatti non voglio diventare deputato come finiscono tanti parenti delle vittime». Ce l’ha con loro, adesso? Scalzone equipara senza esitare i parenti delle vittime ai dissociati e ai pentiti del terrorismo. «Non è il massimo della dignità, no? - continua -. Come parenti o, peggio ancora, come ex terroristi ravveduti o dissociati pensare di non poter vivere senza andare nel teatro della politica istituzionale. Con relativi emolumenti». E cosa dovrebbero fare? «Si può vivere benissimo senza essere deputati ed eventualmente in Parlamento, senza essere vice presidente di una commissione come quella Giustizia». Frecciata all’ex leoncavallino Daniele Farina. Ma è solo l’inizio. Sicuro.
«Si può coltivare il proprio dolore - arriva a dire -, non necessariamente alla ribalta di un teatro o nel teatro della politica». Provo a chiedergli che colpa avevano quelli ammazzati, i proletari in divisa. Mi interrompe. «Sa dove vado adesso? A Reggio Emilia. Lì dove le sventagliate di mitra della polizia uccisero operai manifestanti disarmati». Ma quando? «C’erano Scelba e Tambroni». È passato mezzo secolo. «Vede? Ogni morte ha un peso specifico diverso. Senza demagogia: alcune morti pesano come piume altre come montagne. Sono in Italia per questo. Da Reggio Emilia chiederò che venga chiesta scusa anche a loro. Anche a me. “Scusa che abbiamo ammazzato degli operai innocenti”».
E chi dovrebbe porgerle? «Lo Stato che comprende anche i comunisti». All’epoca erano all'opposizione. «Il Pci sui morti di Reggio Emilia ha fatto solo della mistica». Insomma, Scalzone ha studiato le mosse e cercherà di rompere gli equilibri. Avverte: «Se tutti pensano, soprattutto la sinistra e i suoi intellettuali, di trattarmi con affettuosa condiscendenza come i fratelli Taviani presentavano il vecchio anarchico mi sa che si sbagliano. La ricreazione è finita. Sarò come una spina nella zampa di un cane». Un esempio? «Subito. Il cambiamento di carcere per il compagno detenuto Paolo Persichetti, amico fraterno». Vuol farlo evadere? «No deve cambiare di carcere. Lì la situazione è invivibile».
Cosa ha in mente: «Userò l’arsenale della non violenza che è anche peggio». Boom. «Spiego subito: cambiare di carcere è mera burocrazia, la magistratura, le parti civili non c’entrano. Ebbene se non lo levano... io non penso che uno che è sottosegretario alla Giustizia (il diessino Luigi Manconi, ndr) e che deve prendere i voti da una certa parte possa permettersi di sognare di essere rieletto parlamentare alle prossime elezioni». Una minaccia? «Un ricatto. Nulla di personale. Ma non è finita». Vada avanti. Se ne assume le responsabilità, ovviamente. «Io per Persichetti sono pronto a farmi morire di fame e Manconi lo sa. E tagliarmi sotto il ministero». Ma si rende conto che pressioni così sono illegittime, trasformeranno Persichetti o in un privilegiato o in un caso? «Se uno ti dice “guarda che ti rimarrà uno schizzo di sangue sulla camicia e dubito che ti rieleggono” è più cattiva di una pistolettata. Lo so. Oppure spero di dimostrare quanto sono carogne così magari un giorno suo figlio gli dice “papà fai schifo preferisco Scalzone”. È peggio di un colpo di pistola, lo so. Ma è l’unico mezzo».
Scalzone ti fissa gelido. Ha dentro odio per una storia che gli fa perdere il controllo. Ma le idee sono chiare e un'agenda fitta. A Reggio Emilia dovrebbe incontrare l'ex br Prospero Gallinari, «su Moro non si è mai fatto estorcere una confessione d'innocenza quando a torto lo accusavano di aver premuto il grilletto». Quindi incontro antagonista con Vincenzo Sparagna a Giano in Umbria. «La rivoluzione la voglio fare tuttora». Gli piacerebbe incontrare il fondatore delle Br Renato Curcio, «Renato sta in Piemonte, magari tra qualche settimana». E martedì convegno di Rifondazione a Roma. Si parte.

«Perché sa io mica sono come quegli ex terroristi star che vivono in ville a spese dello Stato. Si sono “pentiti”. Sono stati premiati. Io no. Sono un pessimo maestro». E poi mai dire mai. Chissà, «in un’insurrezione potrei arrivare a sparare».
Gianluigi Nuzzi
gianluigi.nuzzi@ilgiornale.it

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