Recente protagonista nella «Nona» di Beethoven a Capodanno con lOrchestra Verdi, poi di nuovo al «Gran galà», lo scorso 12 gennaio, sempre in Auditorium Cariplo. Gabriella Sborgi, mezzosoprano, milanese di nascita e formazione, è italiana a tutto tondo, grazie alle origini miste della famiglia. Ma ha in tasca anche un passaporto americano: la madre era insegnante nel New Jersey. E una delle migliori voci in circolazione della nuova generazione. E trascorre una vita intensa esibendosi nei teatri del Belpaese e di mezzo mondo, alternando lattività artistica allo studio e allinsegnamento, allAccademia di perfezionamento presso il Teatro Stabile di Torino. Nel cuore, un grande amore per il teatro, inteso nei suoi valori universali. «Si, lapproccio attoriale è decisivo, anche nellopera lirica - spiega Sborgi -. Consente di sintonizzarti con il pubblico. E di relazionarti con il tuo proprio essere».
Cosè la musica per lei?
«La musica è un viaggio. Innanzitutto nelle intenzioni di chi scrive, musica e testi. Poi dentro me stessa. Un viaggio di consapevolezza, sia intellettuale sia fisica. E anche di integrazione nel contesto, a cominciare dai colleghi, dal direttore dorchestra: la squadra insomma, che si forma di volta in volta».
Ma anche un viaggio in senso geografico...
«Non cè dubbio. In termini empirici, viaggiare è fonte di infinite sollecitazioni. In questo mi ritengo fortunata: quando canto fuori, come italiana allestero sono valorizzata nella mia italianità, intesa come valore. Per questo allestero canto volentieri opere italiane. In Italia, invece, è lopposto: eseguo molto repertorio in lingua straniera, Ravel, Britten, Weill...»
Sta facendo il lavoro che ha voluto?
«Non avrei mai detto di fare la cantante lirica. Non ci pensavo neanche. Ma ho frequentato a Milano la scuola americana, la mia prima fucina di grandi opportunità. Ho imparato la musica e le lingue: un modo per superare le frontiere, sotto tutti i profili. E il mio insegnante mi ha convinta a sostenere lesame di ammissione al conservatorio. Sono andata portando laria di Maria Maddalena da Jesus Christ Superstar di Webber. Avevo 15 anni. Mi hanno ammessa».
Cosè Milano per lei?
«E terreno di coltura, in senso letterale e formativo. Sono legatissima alla mia città. Innanzitutto per le enormi opportunità che ti dà. Qui ho cominciato con la danza e il teatro, che è spontaneità, gioco, ricerca interiore. E dentro mi porto ricordi indimenticabili: dalla recitazione in Così fan tutte di Strehler al successo nel concorso AsLiCo, storica istituzione per cantanti lirici, che proprio domani festeggia 60 anni. E a Milano mi piace lavorare. Il prossimo 19 febbraio sarò alla Casa degli Atellani per una veglia futurista, con musiche, fra gli altri, di Casella e Savinio; il 5 aprile, in Auditorium con la Verdi, dove canterò un programma di Luciano Berio, Folk Songs, una pregevolissima contaminazione tra musica popolare e colta. Amo queste contaminazioni: anchesse aiutano a superare le frontiere».
Lavori in cantiere?
«Beh, ce ne sono un paio che mi stanno davvero a cuore. Il primo è un ciclo di concerti sul compositore milanese Nino Rota; il secondo, ad aprile, la prima esecuzione assoluta e lincisione del Liederbuch di Giorgio Gaslini».
Ma oggi ha ancora senso comporre musica lirica?
«Certo che si! Ogni tempo ha la sua musica, in tutte le sue forme. Accanto al teatro musicale barocco e mozartiano, io canto tantissino musica contemporanea e Novecento».
E il viaggio continua.
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