A spasso sulle orme del Fascio

«Dobbiamo creare un nuovo patrimonio da porre accanto a quello antico, dobbiamo creare un’arte nuova, un’arte dei nostri tempi, un’arte fascista». Con questa frase lapidaria, affissa all’ingresso di Palazzo Coppedè a Roma nel 1931 in occasione della seconda «Esposizione di architettura razionale», Benito Mussolini inaugurava un nuovo linguaggio artistico, simbolo della grandezza e del prestigio del regime. Erano gli anni del «razionalismo», che sviluppandosi in Italia parallelamente alla dittatura fascista, finì per diventarne la diretta espressione artistica. Ancora oggi Milano ne conserva le tracce: monumenti, palazzi, solide strutture in marmo, pietra e cemento, ma anche opere scultoree, effigi, iscrizioni murarie. A questi «tesori» in parte sconosciuti l’associazione Neiade ha dedicato l’itinerario «Architettura e regime», che si è svolto ieri nell’ambito della rassegna «A spasso con Milano» (per i prossimi appuntamenti: 02-36565694, www.neiade.com). Il Duce capì subito che l’architettura era per il fascismo la miglior forma di propaganda, e non esitò a chiamare i migliori architetti (Marcello Piacentini in testa) per ridisegnare intere aree urbane, creare quartieri industriali e residenziali, erigere monumenti ed edifici pubblici, addirittura fondare nuove città, come Littoria, Sabaudia, Aprilia, Guidonia. A Milano, in particolare, gli edifici mutarono il loro aspetto aumentando le proporzioni e le caratterizzazioni scenografiche. Ne è un esempio il Palazzo di Giustizia, eretto dal Piacentini nel 1939-40 e decorato al suo interno con affreschi, bassorilievi e mosaici disegnati da Mario Sironi, Carlo Carrà e Arturo Martini, per citare i più importanti. Il percorso di ieri, invece, è partito da un altro esempio classico dell’arte pubblica di regime: il Palazzo dell’Informazione di piazza Cavour, pensato come sede di una testata giornalistica che seguisse da vicino i fatti e le vicende della «capitale economica». Nel 1938 fu lo stesso Mussolini a commissionare all'architetto Giovanni Muzio il progetto del monumentale edificio, per la cui realizzazione ci vollero quattro lunghi anni, con una spesa di 18 milioni di lire. Al centro della facciata, il palazzo ha la propria sublimazione nell'arengo, con balcone scolpito in porfido ed il soprastante grande bassorilievo in marmo di Carrara disegnato da Mario Sironi. Il Duce vi entrò nel 1942 ad opera ultimata, come primo direttore della testata. La passeggiata è proseguita in piazza Diaz di fronte al Palazzo dell’Ina (Istituto Nazionale delle Assicurazioni), costruito su progetto di Piero Portaluppi tra 1932 e il 1937; per terminare in piazza Duomo all’Arengario (oggi sede del Museo del Novecento), terminato negli anni ’50 su progetto di Portaluppi, Muzio, Magistretti, Griffini e decorato nella facciata con i bassorilievi di Arturo Martini. L’itinerario alla scoperta delle rivoluzioni architettoniche del Ventennio potrebbe idealmente proseguire in piazza Affari, per ammirare il Palazzo della Borsa e l’Ufficio delle Poste; oppure all'università Bocconi (1938-1941), di chiaro stampo razionalista secondo il progetto di Pagano e Predeval.

Senza dimenticare l’allora Palazzo delle Arti, oggi Triennale, costruito in viale Alemagna da Giovanni Muzio a tempo di record, tra il 1932 e il 1933, per dare una sede sta­bile all’ «Esposizione Triennale di Arti Decorative, Industriali e Architettoniche» e per mettere in luce i punti di contatto tra tutti i linguaggi artistici, a partire dal Teatro dell’Arte al quale si accedeva scendendo da uno scalone laterale, oggi ripristinato. Per concludere, a pochi metri dalla Triennale, si potrebbe salire sulla «Torre littoria» di Gio Ponti in corso Sempione, voluta da Mussolini «di un metro più bassa della Madonnina».

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