LO SPERPERO COLPEVOLISTA

Qualche considerazione viene subito in mente, quando ci si soffermi sui dati che Gianluigi Nuzzi ha allineato nel servizio pubblicato a pagina 3. Davvero impressionante la mobilitazione di forze giudiziarie incaricate di fare le pulci ai conti, alle carte, alle manovre di quel colosso imprenditoriale che è Mediaset. Un colosso che nella gestione d’alcune sue iniziative può anche aver agito con spregiudicatezza - chi è senza peccato, nell’universo della finanza, scagli la prima pietra - ma che è sano e redditizio. Garantisce gli stipendi ai dipendenti e la giusta remunerazione ai risparmiatori. Peccato che la legge non abbia dato dimostrazione d’un impegno analogo nel frugare tra i misteri di Cirio, o di Parmalat, o d’altre aziende portate alla bancarotta: con un seguito di delusioni, sofferenze, a volte vera e propria povertà, per migliaia di persone. Ho molto rispetto per i giudici. Non attribuisco loro, se non di fronte a prove inconfutabili, scopi e comportamenti faziosi. Sono disposto a concedere che l’accanimento contro tutto ciò che può essere fatto risalire a Berlusconi sia derivato da un malinteso moralismo, da una presunta ansia di giustizia che si è poi tradotta in ingiustizia.
Ma la disparità tra l’inerzia della magistratura di fronte a situazioni che suscitavano allarme e che erano state denunciate e l’attivismo parossistico esercitato nei riguardi d’un solo soggetto - che è ormai un soggetto politico prima che imprenditoriale - questa disparità grida vendetta al cielo. Beppe Grillo, che non è un pm e che non può utilizzare le varie polizie della Repubblica, aveva segnalato, non in segreti conciliaboli ma nei suoi spettacoli, che c’era del marcio in varie e prestigiose realtà industriali. Le Procure della Repubblica non si sono mosse (in realtà non s’è mossa nemmeno la Banca d’Italia). Troppo affaccendati, i pm a scrutare, visto che c’era di mezzo il Cavaliere, le vicende della compravendita d’un calciatore o dell’acquisto di diritti cinematografici, per perdere tempo a vagliare contabilità altrui, quelle sì, veramente truffaldine.
Si ripete continuamente che la giustizia italiana è povera. Vero. Ma questo vale per la giustizia dei comuni mortali. C’è poi una giustizia più uguale dell’altra - quella dei processi contro Berlusconi o dei processi contro Andreotti - autorizzata a elargire prebende milionarie a «consulenti d’oro» e a sguinzagliare, alla caccia d’un quadro che un mafioso avrebbe regalato ad Andreotti, una task force di polizia e carabinieri che non s’è mai vista nemmeno per Provenzano. Per la giustizia «speciale» pare non ci siano limiti di spesa né di normale sensatezza. Ribattono gli amici delle toghe che «fiat iustitia et pereat mundus», caschi pure il mondo purché la giustizia abbia corso.
Anche quando ci vanno di mezzo i più deboli? Se miliardi e miliardi di vecchie lire sono profusi per dare addosso a Berlusconi, se 789 magistrati sono coinvolti a vario titolo in una miriade di procedimenti a senso unico, se la polizia giudiziaria si occupa durante un tempo sterminato del Cavaliere, quanto avanza per cercare il rapinatore di turno o per risolvere la causetta del pensionato? Per il rapinatore si soprassiede, per il pensionato si rinvia al 2006. Ciò che impressiona è la furibonda ripetitività - e spesso la sterilità - di questo immane spiegamento di uomini e mezzi. Poi nelle sentenze il rombante assedio viene spesso ridimensionato, le imputazioni cadono.

Il che fa onore a magistrati capaci d’obbiettività, ma nel contempo sottolinea la discutibilità del titanico sforzo colpevolista. Berlusconi non è né al disopra né al di fuori della legge, sia chiaro. Ma 789 magistrati per un unico imputato sono, francamente, un’esagerazione.

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