La seconda stagione di 13 Reasons Why, serie tv di Netflix, continua a far discutere il web e non solo.
C’è chi è rimasto del tutto indifferente di fronte alle storie di Clay e company, alle prese con le conseguenze disastrose del suicido di Hannah, e c’è chi invece continua a professare che una serie tv di questo genere, è un prodotto assolutamente necessario, atto ad alzare il velo su i malesseri della società moderna. Alla luce dei fatti però, la seconda stagione, non è esente da difetti. Cade vittima in molti errori di scrittura, in assurde verbosità, ma resta un prodotto di alto profilo, nato proprio per essere criticato. Molti sono i momenti intensi e che spezzano il cuore, e altrettanti sono i momenti in cui la trama sembra ripetere lo stesso schema all’infinito, senza riuscire ad arrivare al dunque.
Ci sono molti pro a suo favore. La seconda stagione ha avuto la sagacità di affrontare di petto le conseguenze della morte di Hannah, analizzando la situazione dal punto di vista dei bulli, e focalizzando l’interesse su i dubbi, le incertezze e le paure di un gruppo di giovani alle prese con un problema più di grande di loro. Il processo che la madre di Hannah ha intentato contro la Liberty High School, ha permesso analizzare la storia con uno sguardo più attento e disamorato, permettendo di conoscere un lato inedito della dolce Hannah. Anche lei ha sbagliato, anche lei ha commesso errori, è stata consapevole di non aver urlato abbastanza per permettere che il suo grido venisse ascoltato; e se da una parte Clay cerca di affrontare la sua rabbia repressa e il dolore che sta logorando lo spirito, quel che resta di Jessica, Alex, Zach e Justin, stupisce nella maniera più inaspettata. I giovani si trovano ad affrontare le malefatte di Bryce, senza però riuscire ad ovviare alla situazione. Colpisce inoltre come un vero colpo di pistola, il dolore e l’apprensione della madre di Hannah, interpretata da una raggiante Kate Walsh, la quale sommessamente diventa spettatrice involontaria della vita di sua figlia. Ma il vero colpo di scena, arriva proprio nell’ultimo episodio.
Come ci sono anche i contro, lo si deve ammettere. Il secondo ciclo di episodi non ha raggiunto la perfezione stilistica della prima lungimirante stagione di 13 Reasons Why. Gli episodi sono di una lunghezza estenuante, alcuni inconcludenti ai fini della vicenda stessa; è stata una stagione molto verbosa, cupa, violenta, quasi disarmante. È stata una stagione che non ha regalato nessun risvolto, non ha regalato un faro di speranza per quel gruppo di giovani sobillati da un malessere latente, è stata una stagione senza vinti né vincitori, una lunga discesa negli abissi infermali della mente umana. E soprattutto non ha convinto il ritorno di Hannah Baker, la cui presenza, è stata quasi pleonastica.
In sostanza però 13 Reasons Why resta un prodotto televisivo di alto profilo, innovativo, pungente e soprattutto simil-realistico. Il drama giovanile per la prima volta viene analizzato con uno sguardo diverso, non solo amori e dilemmi adolescenziali, ma viene aperto un squarcio su i veri problemi dei giovani d’oggi.
Si affrontano temi molto delicati come il suicidio, la violenza sulle donne, l’omosessualità, le violenze domestiche e il bullismo, uno sguardo che seppur estremizzato, rappresenta la realtà che molti stanno vivendo.Se ci sarà una terza stagione è ancora presto per dirlo. Se verrà realizzata Hanna Baker non sarà più tra i protagonisti e, forse al centro della vicenda, potrebbe esserci la storia di Tyler (il fotografo della scuola).
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