Tempo di libri è finito, e il successo di pubblico è evidente. Hanno ragione i vertici del Salone, cioè la coppia di fatto - scherzano loro - Levi-Kerbaker. Milano ha risposto bene. Se tutto va come deve andare in una città che può sbagliare una volta ma non la seconda (e dove i privati, cioè Fiera e Aie, pagano tutto, mentre dal Comune arrivano zero euro, a differenza del Salone di Torino interamente pubblico), fra 4-5 anni Tempo di libri sarà la fiera leader del settore in Italia (e forse anche l'unica, vista la situazione economico-organizzativa-giudiziaria del Salone di Torino). Certo, per ora a Milano si vende ancora poco. Ma in città la concorrenza è fortissima: le librerie sono ancora tante, lavorano splendidamente e vendono bene. Alla fine, tutto sommato, niente da dire. Anzi. Sì, una cosa ci sarebbe. Una nota a margine sulla stucchevole questione della rivalità fra Torino e Milano. Prima si criticava Milano perché non c'era pubblico. Adesso che il pubblico è arrivato, la critica così si legge sui grandi giornali e così si ripete nei salottini intellettuali di ciò che resta del Partito letterario d'Azione è che «a Torino comunque c'è un altro clima» «Al Lingotto si respira un'aria diversa» «Lì si percepisce il senso della comunità dei lettori» «A Torino sì che c'è la tribù del libro» Ecco. Se c'è una cosa che non si può più sentire, è proprio l'elogio della «tribù del libro», l'esaltazione della «comunità dei lettori». Che sono esattamente i settarismi che coloro che hanno a cuore la lettura dovrebbero spezzare. Il libro deve essere di tutti. Non di tribù, comunità, popoli. Non abbiamo mai sentito dire per stare ad altri consumi culturali - «la tribù di coloro che ascoltano musica», o il «popolo di coloro che seguono le serie tv». E infatti, guarda caso, tutti ascoltano musica, e tutti guardano le serie tv. Per fortuna. Senza che nessuno voglia rifugiarsi in riserve indiane per eroici resistenti al «libro di massa». Vogliamo davvero trasformare il libro in un desiderio per tutti e non in un oggetto di culto per pochi? E allora, cari intellettuali che ce l'avete coi «manager della cultura», smettetela di fare danni. Non ghettizzatevi volontariamente. Basta parlare di tribù.
Provate a pensare anche se la cosa vi fa orrore al libro come a un bene condiviso, e non a un privilegio da tenere stretto per sé. Che noia i vittimismi. E poi, del resto, anche Nazione indiana ormai ha fatto il suo tempo. Augh!
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