"Da bimbo recitavo da solo come Bergman. Ora lo porto a teatro"

L'attore oggi a Spoleto in "Dopo la prova": "Anch'io ho avuto le mie piccole tragedie"

"Da bimbo recitavo da solo come Bergman. Ora lo porto a teatro"

Ugo Pagliai ha 109 anni. Oppure ne ha 62? «Non si sa, non si capisce bene - considera lui (in procinto di ricevere, domani sera, il premio alla carriera Nuovo Imaie) - quel che è certo è che sente approssimarsi la fine. E l'indefinibile età, nonché i foschi presagi, fanno da antefatto alla sua personalissima resa dei conti». Non temano gli amanti del teatro: non è il bravo attore pistoiese ad avere simili, cupi pensieri. Ma il suo personaggio: quell'Henrik Vogler che - anch'egli attore - appisolatosi dietro le quinte del suo ultimo spettacolo, in Dopo la prova di Ingmar Bergman (oggi in prima al Festival di Spoleto) vede sfilare davanti ai suoi occhi le donne - e i guai - di una lunga vita scombinata.

Pagliai, dice Bergman che il suo protagonista è di una vecchiezza «indefinibile. Tra i 109 e i 62». Perché?

«Perché pur essendo vecchio gode della vitalità disperata di chi sa di avvicinarsi al traguardo definitivo. Si addormenta e sogna - ma le sogna soltanto? O esse vengono davvero a trovarlo in palcoscenico? - le donne della sua vita: una sua ex amante e la figlia di lei, che forse è stata anch'essa sua amante. Traccia così, in una dimensione onirica, il bilancio di una vita che, sentimentalmente parlando, è stato un fiasco».

Bilancio autobiografico, per Bergman?

«Come tutto, in Bergman. Le sue cinque mogli, le innumerevoli amanti, il tormentato rapporto con Liv Ullmann... Dopo la prova è un'amara riflessione sulla vecchiaia e sulla paura della morte. Ma condotta con la densa malinconia, l'ineffabile struggimento del poeta del Posto delle fragole».

Non è un caso che questo rendiconto esistenziale sia compiuto da un attore, dentro un teatro.

«Certo che no. Il teatro è il mondo della finzione che è più vera della verità. Non diceva forse Bergman Io abito sempre nel mio sogno; di tanto in tanto, faccio una piccola visita alla realtà? Così i personaggi di Dopo la prova ce li racconta come fossero ombre, fantasmi. Talvolta demòni».

A proposito di autobiografia: lei è attore come il suo personaggio. Non ha ancora 109 anni, ma non ne ha più nemmeno solo 62...

«Ottanta, da novembre scorso. E facevo teatro già in casa da bambino, prima di debuttare a Pistoia, a 15 anni. A 12 Bergman aveva una cassa di legno colma di pupazzi, coi quali già costruiva le sue storie. Lo stesso facevo io, alla stessa età, coi vecchi giocattoli e gli abiti smessi di una grande cesta: diventavo Zorro, Mandrake, Pecos Bill... Insomma: questo dramma mi ha coinvolto molto. Sentimentalmente parlando non sono stato altrettanto turbolento... Ma ho avuto anch'io, come hanno tutti, le mie piccole tragedie».

Sua partner è Manuela Kustermann, già «musa» dell'avanguardia iconoclasta anni '70. Come a dire, accanto a lei, diplomato all'Accademia e campione del teatro tradizionale, il diavolo e l'acqua santa...

«Due storie contrapposte, ma solo in apparenza. In Accademia io ero con Carmelo Bene e Giancarlo Nanni, che proprio con Manuela creò un famoso sodalizio. Ma la sperimentazione l'ho frequentata anch'io; e lei ha da tempo rivalutato la tradizione. Per noi, insomma, questo spettacolo è quasi la chiusura del cerchio».

Tanto coinvolto con Bergman, pensa forse con distacco all'enorme popolarità televisiva dei suoi anni verdi?

«Scherza? Lo sa che più di quarant'anni dopo Il segno del comando o L'amaro caso della baronessa di Carini la gente ancora mi riconosce? Non solo ricordo quella tv, popolare eppure colta, con piacere, ma addirittura con riconoscenza. Mi ha dato la fama. E mi ha aiutato a diventare un vero attore».

A ottant'anni quale

personaggio si sogna?

«Prospero, il mago della Tempesta di Shakespeare. Un sogno che è già realtà: il 21 settembre debutterò nel ruolo, al Globe Theatre di Roma. Shakespeare dopo Bergman: chissà se ne uscirò vivo».

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