E adesso Alessandro Cattelan continuerà a lavorare in Rai? Cosa resterà del suo sbarco tanto pompato sull'ammiraglia? Dopo i risultati della seconda e ultima puntata del suo show, che sono stati ancora più bassi della prima (12% di share con 2.196.000 spettatori contro il 12,7 di domenica scorsa e senza neppure la succosa finale di volley maschile in concorrenza) la domanda è ovvia. Secondo i progetti iniziali, partoriti dalla mente dell'ex ad Fabrizio Salini, l'operazione avrebbe dovuto, oltre a portare a uno svecchiamento del pubblico, anche far entrare il conduttore nel parco artisti della tv di Stato. In programma per lui c'è il timone dell'Eurovision Song Contest a maggio, poi si immaginavano altre puntate di prima serata (di certo non ci sarà più un Da Grande) e si dava per scontata l'assegnazione del Festival di Sanremo del 2023. Per l'appuntamento del Concorso europeo non ci dovrebbero essere problemi, anche perché si tratta di una conduzione corale (e lui è il re degli show musicali). A meno che, vista la delusione degli ascolti e l'irritazione per le critiche ricevute, non sia lui a decidere di sottrarsi. Per il Festival c'è tanto tempo, ma certamente sulla scelta peserà il responso del pubblico adulto e anziano del primo canale non ancora pronto a quel tipo di tv. Chiunque ci sarà nei prossimi mesi (con i cambiamenti alle direzioni in arrivo) non potrà non tenerne conto. Anzi, l'operazione Cattelan dovrà essere un punto di partenza e di riflessione. Perché l'idea è quella giusta: abituare gli spettatori a un tipo di intrattenimento diverso da quello tradizionale. Però, evidentemente, la soluzione non è quella di importare un personaggio totalmente sconosciuto a quel pubblico e offrirgli uno show non-show. Perché quella di Cattelan, alla fine, è stata meta-televisione: un lungo lunghissimo gioco, ben fatto, ben realizzato, con mille colori e sapori, parodie, ironie, rimandi, contaminazioni, attorno alle figure note della tv pubblica (Clerici e Conti nella prima puntata, Raoul Bova e Serena Rossi nella seconda), ma dietro non c'era una costruzione, un racconto che collegasse tutto quanto. Parole, tante parole che hanno disorientato lo spettatore abituato a programmi di sfide, emozioni o storie. Ma che è stato apprezzato dal pubblico più giovane. Alla fine, non è neanche giusto gettare tutte le colpe su Cattelan, che si è sempre sentito uno da seconda serata. Lui ha fatto quello che sa fare. La scelta di osare la prima serata è da condividere con i vertici Rai.
Lui, ora, nonostante riduca a pernacchie tutte le critiche ricevute come ha fatto nel piccato monologo di chiusura di serata, dovrebbe riflettere un po' su se stesso. Anche se c'è Netflix che l'aspetta a braccia aperte, un pochino di umiltà non fa mai male. C'è ancora tempo per diventare grande.
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