Se Riccardo Scamarcio è Un ragazzo d'oro , nell'omonimo film di Pupi Avati da domani in sala, Sharon Stone, qui come editrice senza reggiseno, ma con matita infilzata nello chignon, è una donna di platino. Oppure di diamante, visti i 500mila dollari e spicci, tra imprevisti e capricci, che Rai Cinema, con la Duea Film dei fratelli Avati e la Combo Produzioni di Flavia Parnasi, ha sganciato alla diva per averla come traino di sicuro richiamo.
In verità, si preferiva tacere l'esoso compenso alla star di Basic Instict , dati i denari pubblici in ballo e i tempi grami in cui versa il Paese, ma Antonio Avati, con la solita verve , ne ha rivelate delle belle. Per esempio, che un ragazzino impiegato ad hoc , durante le riprese aveva il preciso incarico di pedinare la fascinosa in Via del Corso dove lei, con accesso illimitato alla carta di credito della produzione, girava a far shopping. E di riferire in quali negozi fosse entrata la bionda. «Sapendo, al telefono, che era entrata da Bulgari, ci è preso un colpo. Eppure, quando siamo andati a prenderla a Firenze l'abbiamo trovata seduta sulla valigia, al binario sbagliato e dimessa, con un gonnellone a fiori. Poi, man mano che entrava nel personaggio della diva, lei che a Los Angeles fa piccoli cammei in film low-budget, ha aumentato le pretese», dice Antonio Avati, ricordando gli appostamenti dei paparazzi romani.
Pupi, che qui ritorna sul tema del rapporto tra un padre ingombrante e un figlio insicuro già trattato in Il papà di Giovanna e Il figlio più piccolo , tira fuori altre perle: «Per gli americani, la sceneggiatura è un rogito notarile: definirla con la Stone ha significato estenuanti trattative. A un certo punto, poi, lei è sparita: notando un operatore televisivo, accanto alla nostra cinepresa, si è blindata in macchina, per farmi telefonare dal suo agente americano. Dovevamo allontanare subito l'operatore tv e i fotografi dal set, o lei non avrebbe continuato a lavorare». Negli Usa, comunque, i diritti sull'immagine, soprattutto di un attore noto, non vengono trattati con la stessa nostra disinvoltura, anzi: si traducono in dollari...
A parte i siparietti divistici (e la protesta dei fotografi, alla presentazione del film, per l'assenza della Stone e di Scamarcio), Un ragazzo d'oro narra di Davide (Scamarcio), un giovane in analisi che lotta con la figura paterna, ancorché scomparsa per suicidio. «La guerra con tuo padre è finita», lo consola Silvia (Cristiana Capotondi). «E chi ha vinto?», replica lui, che nella sua stanza di ragazzo tiene appese le foto di Calvino, Pasolini e Pavese: è un intellettuale (Scamarcio porta gli occhialini tondi, a riprova) e vuole scrivere, anche se gli editori lo scoraggiano. Suo padre, piuttosto, impomatato regista e scrittore di serie B, nel suo studio teneva scatti di Edwige Fenech e Lino Banfi, assecondandolo la moglie (l'ottima Giovanna Ralli, 80 anni). E aveva abbozzato anche un libro, che il figlio completerà, facendogli vincere il Premio Strega post mortem . È Un ragazzo d'oro , appunto, riconciliato con il babbo, ma non con la vita: finirà pazzo, sempre a contare i propri passi.
«Mio padre è morto quando avevo 12 anni e siccome nessuno è più presente dell'assente, mi ostino a girare film sulla figura paterna. Anche se credo che le madri, più generose e accoglienti, permettano di sognare di più, assenti i padri», riflette Pupi, che nella sceneggiatura, premiata a Montréal, ha coinvolto il figlio Tommaso. «Anche io vorrei che i miei figli portassero avanti ciò che ho avviato, senza recidere il fil rouge che lega anche me a mio padre, antiquario che da Bologna venne a Cinecittà, per produrre un film che poi non si fece», prosegue il regista, ammettendo di vivere «l'ebbrezza del fallito».
Insomma, Avati prova la sensazione
di non aver ancora realizzato il film della sua vita. Intanto, contro il volere dei suoi, ha preso a frequentare «persone che hanno problemi psichici, le uniche che non vivono una vita legata solo a somme e sottrazioni».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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