De Gregori affida i suoi successi alla grazia sinfonica

Alle Terme di Caracalla il debutto del tour del cantautore accompagnato da un'orchestra

De Gregori affida i suoi successi alla grazia sinfonica

Mentre canta si volta a guardarli, emozionato, quasi sorpreso. Quel suono, così pieno e avvincente, è inconsueto. E il luogo, gli antichi ruderi dorati dal tramonto romano, esaltante. «Ecco qualcosa che in quarant'anni di carriera non avevo mai fatto prima si emoziona il «Principe», beandosi dei quaranta orchestrali che attaccano Generale, sullo sfondo del calidarium delle Terme di Caracalla in Roma -. Sono felice, eccitato. Ma anche tranquillo. Un suono simile è davvero irresistibile». Mancano tre ore al debutto del tour estivo De Gregori and Orchestra Greatest Hits Live (dal 23 al 25 settembre anche agli Arcimoboldi di Milano): la sorprendente occasione con la quale sostenuto dalla Gaga Simphony Orchestra, integrata dal quartetto degli Gnu Quartet e dalla sua stessa Band - il cantautore romano rilegge in chiave sinfonica ventidue dei suoi titoli più celebri ed amati. Mentre confessa di essere «inevitabilmente arrivato, dopo tanti decenni, a farmi tentare dal suono orchestrale. Queste canzoni sono nate solo alla chitarra, nelle mia camera. Poi chiamavo il tastierista, il bassista: Sentiamo un po' come viene. Ora l'orchestra ne svela dinamiche timbriche che c'erano già, ma nascoste, forse insospettate. E io mi commuovo a pensare: Accidenti! Vedi sta canzone: pareva robetta. E invece...»

Ri-arrangiamenti sinfonici che conferiscono pathos senza disperdere, però, fisionomie originali: «Le rispetto tutte. Ma la canzone è qualcosa di vivo: non può rimanere immutata nella gola dell'interprete, intoccabile come un'icona commenta -. Vale anche per la classica: lo stesso brano di Beethoven fatto da Toscanini ha un suono diverso da quello di Von Karajan. Sta all'onestà dell'interprete non voler imporre al pubblico il restauro di un tabernacolo». Così rifare Rimmel esattamente come fu concepita nel '75 «sarebbe un falso in atto pubblico. Io non sono più quello di allora. Un pittore o un regista non possono più ritoccare il loro quadro, il loro film. Magari Fellini, un anno dopo il debutto di Otto e mezzo, avrebbe voluto cambiare qualcosa. Non poteva farlo. Chi scrive canzoni, invece, se lo può permettere. E io me lo permetto». Anche per questo ha reinserito in Alice il verso Il mendicante arabo ha un cancro nel cappello, invece di ha qualcosa nel cappello? «Quel cancro dovetti toglierlo per far partecipare Alice al Disco per l'Estate. Non proprio una censura, ma quasi: Lascia quella parola e non ti mandiamo il pezzo per radio. Così la tolsi». Da La donna cannone a La leva calcistica del 68, da La valigia dell'attore a Fiorellino, ventidue gioielli con alcuni ritorni inattesi («Pablo era tanto che non la facevo, la gente me la chiedeva sempre, e forse con l'orchestra ha la sua giusta dimensione, acquista respiro, solennità») e alcune piccole sorprese: il Can't help falling in love di Elvis Presley. «È una canzone che amo da sempre. Il primo a farmela sentire fu mio fratello. Quand'ero ragazzino mi faceva sognare: Quanto sarebbe bello cantarla!. Oggi ho il privilegio di poterlo fare; è un piccolo regalo che mi faccio». Quel che sembra latitare, invece, è un dichiarato intento politico. «Ma io taglia corto lui - non ho mai scritto canzoni politiche. La stessa Pablo non è ideologica: è ispirata ai Malavoglia, al tema degli ultimi del mondo». Prima di lui in scena ci sarà Tricarico (e a Lucca anche Noemi), «perché ha una sghembità che me lo rende un po' gemello». La storia siamo noi, infine, spinge qualcuno a chiedergli se oggi non si senta lui stesso storia. «Mi sento solo uno che fa musica. E poi che vuol dire storia? Io ho scritto alcune canzoni che forse resteranno. Ma monumentalizzare non mi piace. Io ho i calli alle dita, figuriamoci». E a chi gli fa notare che dalla scaletta del concerto manca Viva l'Italia, «È una canzone molto assertiva, molto combattiva, col dito puntato. In questo periodo non me la sento di farla».

Perché? «Beh: la risposta è intuitiva ammicca sornione - Cosa credete? Sono più bravo di voi giornalisti: non mi faccio trascinare in polemiche». Ma seguirebbe l'esempio di Fiorella Mannoia, che ha concesso la sua canzone Il peso del coraggio alla campagna elettorale del Pd? «A me nessuno ha chiesto alcuna canzone».

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