Il destino dell'Occidente è nelle mani (virili) degli eroi di Conrad

Asor Rosa rilegge i capolavori dell'autore inglese dove l'Uomo si confronta sempre con il "limite"

Il destino dell'Occidente è nelle mani (virili) degli eroi di Conrad

Chi è L'eroe virile che dà il titolo al nuovo saggio di Alberto Asor Rosa (Einaudi)? È il tipo umano che emerge dalla narrativa di Joseph Conrad, in particolare da tre racconti, La linea d'ombra, Cuore di tenebra, Tifone, e posti a centro della riflessione del critico romano, qui alle prese con un autore, un tema, un'atmosfera per lui insoliti. Si tratta di «eroi dell'Occidente» ma che operano al di fuori dell'Occidente, lì dove la diversità, l'avventura, il rischio, assumono per certi versi un sentimento nuovo, obbligano al confronto con l'altro e con l'altrove, alla verifica di quanto e come una certa educazione, potremmo dire una certa civiltà, siano in grado di fronteggiare ciò che non si conosce. A questo proposito, Asor Rosa parla giustamente di «una sorta di vocazione alla resistenza morale e virile: non un'ideologia, per carità, né tanto meno un credo politico. Ma la forza potenzialmente invincibile del proprio essere se stessi, diversamente dagli altri, se necessario, contro tutto».

Ciò che altresì emerge, nota il critico, è la «banalità dell'eccezionalità». Nessuno dei protagonisti di quei racconti brilla di ciò che convenzionalmente si fa coincidere con la figura dell'eroe: non c'è in loro bellezza, intelligenza, forza fisica, sprezzo del pericolo, eccetera, in una parola quell'aura che fa tutt'uno con l'eroe Si tratta di gente come noi, per la quale però il destino, heideggerianamente potremmo dire, «è una prova», quella prova che mette a nudo ciò che si è, che fa vedere anche fuori ciò che veramente si ha dentro. È per certi versi il «mantenere la prua al vento» del capitano MacWirr protagonista di Tifone: «Questo fronteggiare, questo fare fronte è quanto è possibile e necessario per venirne fuori, non si può fare di più in certe circostanze, ma non bisogna nemmeno fare di meno: mai».

Va anche detto che in uno dei tre racconti, vale a dire Cuore di tenebra, questo tema, ovvero questa figura, è come sdoppiata. C'è un eroe, Marlow, che è anche il narratore, che non si allontana da una tale linea di condotta. Ma ce n'è anche un altro, Kurtz, che ne è, se vogliamo, la sua degenerazione, l'idea di una hybris, di una sconfinata volontà di potenza, che giunge sino a sfidare l'orrore, per poi perdersi in esso, la grandezza d'animo che si trasforma in abiezione.

Cuore di tenebra, i lettori di Conrad lo sanno benissimo, è anche una riflessione sul colonialismo, applicata però a un «luogo di tenebra» qual è l'Africa. Conrad, i personaggi di Conrad, il narratore che a volte è il suo doppio, altre il testimone che si intromette fra lettore e autore, sanno che «il demone della violenza e quello dell'ingordigia e il demone dell'inesauribile brama» fanno parte dell'avventura umana; ma si tratta pur sempre di «demoni forti, sensuali, dagli occhi ardenti, che spingevano degli uomini-uomini, dico». Ma lì, in quel continente nero anche metaforicamente, c'è «un floscio, pretenzioso demone dagli occhi smorti, demone della rapace e spietata follia». Ancora: Conrad, che è un classico gentiluomo europeo, polacco di nascita, francese d'educazione, inglese per scelta, sa di avere alle spalle una tradizione e una cultura in cui le conquiste come le esplorazioni, le nazioni come gli imperi hanno nei secoli dato vita alla costruzione di un particolare tipo umano: «La conquista del mondo, che generalmente significa strapparlo a coloro che hanno pelle diversa o nasi leggermente più piatti dei nostri, non è un gran belo spettacolo quando lo si guardi da vicino. Ciò che la redime è soltanto l'idea. Un'idea alla base, non una pretesa sentimentale, ma un'idea e una fede disinteressata in questa idea, un'insegna da inalberare, davanti alla quale ci si possa genuflettere e offrire sacrifici a».

È probabile che anche il Kurtz di Cuore di tenebra, l'uomo che ha accettato l'orrore e ne è stato divorato, avesse «l'idea» come spinta dell'agire. Ciò che però lo differenzia fondamentalmente dall'ideale dell'eroe conradiano è il suo essere «un estremista. Di qualsiasi partito». Detto in alte parole, gli manca la capacità di «essere fedeli a qualche oscura e faticosa bisogna», non al delirio che finisce per possedervi, «la potenza di devozione a voi stessi». È ciò che in La linea d'ombra Conrad riassume peraltro benissimo: «Un servizio fedele. Si fa per amor proprio, per amore della nave, per amore della vita che si è scelta, non per amore del compenso. C'è qualcosa di sgradevole nel concetto di compenso». Nell'agonia, il cranio e il volto di Kurtz assumeranno le sembianze di quell'avorio che era stato il suo unico e ultimo fine.

Ciò che sorprende nelle interessanti riflessioni di Asor Rosa è l'aver scartato dalla sua analisi un racconto, lord jim, che sul tema dell'eroe virile conradiano è però fondamentale proprio nel suo aver a che fare con un eroe mancato. A differenza dei protagonisti dei racconti scelti, incarnazione della «banalità dell'eccezionalità», Jim ne è all'apparenza l'esatto contrario. È bello, è ardente, è fiducioso in sé stesso, è una sorta di conquistatore di cuori e di anime. Eppure «Sembrava schietto come una sterlina di zecca, ma nella lega del suo metallo v'era un elemento diabolicamente impuro. In che quantità? Oh, minima, ma bastava a far nascere il dubbio che potesse essere tutto d'un metallo non più prezioso dell'ottone».

E il destino quello a cui Jim non riesce a fare fronte la prima volta che è chiamato a dare prova di sé: «Tutto sta nell'essere pronti. E io non lo ero non lo ero ancora, in quel momento». Questa «occasione perduta» è ciò che in seguito cercherà con tutte le sue forze di ritrovare e afferrare, proprio perché ha a che fare con l'idea di sé stesso che si era fatta e che però, nel momento della verità, si era rivelata inferiore alle aspettative. Così come le aspettative erano ben altra cosa rispetto alla cruda realtà

Ha abbandonato la sua nave Jim, si è messo in salvo al posto dei passeggeri della cui salvezza si sarebbe dovuto occupare Altri, col tempo, se ne sarebbero saputi fare una ragione, altri nel tempo si sarebbero fatti dimenticare, lui no, perché ciò che lo corrode è «l'acuta coscienza dell'onore perduto», tanto più forte per chi «aveva quel dono di scoprire, al minimo accenno, il volto del suo desiderio e la forma del suo sogno, dono senza il quale non ci sarebbe al mondo né un amante né un avventuriero». La sua resta «una vaga idealità di condotta», che sbrigativamente, ma non erroneamente, ha a che fare da un lato con la giovinezza, «la giovinezza è sempre insolente, è il suo diritto»; dall'altro, come dice uno dei suoi mentori, è il romanticismo: «Capisco benissimo. È un romantico È un gran male ma anche un gran bene. Che altro mai lo porterebbe, attraverso una pena interiore, a conoscere sé stesso? Che altro, per lei e per me, lo fa esistere ?».

Lord Jim si perde una prima volta perché la realtà gli ha presentato un volto diverso, non è stata, se vogliamo, all'altezza dei suoi sogni. Da allora in poi sarà il riscatto di sé stesso a tenerlo in vita.

Quando Conrad dice «è uno di noi» è a questo che pensa, a «un cuore imperscrutabile; dimenticato, non perdonato ed estremamente romantico» e che però lascia di sé «una visione attraente» quanto «nemmeno le folli visioni dei più bei giorni della sua infanzia avrebbero potuto creargli».

Alla fine, «tutta velata come una sposa orientale, il volto di quell'occasione gli si era messa a fianco» E lui l'ha portata all'altare, ovvero alla propria tomba.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica