La cosa più simpatica che si sappia sui Templari, e forse anche la cosa più interessante e rivelatrice, l'ha scritta un principe siriano del pieno XII secolo, Usama ibn Munqidh emiro di Shaizar, ch'ebbe un discreto rilievo nelle vicende vicino-orientali attorno al terzo quarto del secolo. Colto, intelligente, brillante, scrittore abilissimo, Usama era tutt'altro che un buontempone. Fu uno che seppe scrivere anche pagine oscure nella storia dell'Islam mediterraneo, fra intrighi, tradimenti e crudeltà. Però la testimonianza che ci ha lasciato, da coprotagonista delle vicende politiche che descrive, è a concorde parere degli specialisti qualcosa di prim'ordine, di davvero attendibile.
Ebbene, Usama ci racconta che verso gli Anni Sessanta-Settanta del XII secolo, quando gli capitava di recarsi a Gerusalemme allora capitale del regno crociato, usava andare ospite dei «suoi amici Templari» (è lui a chiamarli proprio così), quartier generale dei quali era la moschea al-Aqsa, ancora esistente sulla «Spianata del Tempio». Fra i cristiani era allora diffusa opinione che quello splendido edificio, risalente all'VIII-IX secolo, fosse in realtà il Tempio di Salomone. Lì, dice Usama, i pauperes milites Christi et Salomonici Templi - tale il nome ufficiale dell'Ordine religioso che già allora, correntemente, veniva definito «il Tempio» -, avevano approntato un oratorio nel quale i loro ospiti musulmani potevano tranquillamente pregare. Non proprio una moschea, certo: comunque, una piccola «sala di preghiera». Lì Usama riferisce non solo di aver pregato, ma anche di essere stato liberato da un cristiano zelante e inopportuno, di recente arrivato dall'Europa, ch'era evidentemente scandalizzato alla vista di un infedele in preghiera in un ambiente cristiano.
Questa testimonianza, sulla veridicità e autenticità della quale non v'è motivo di dubitare, si scontra obiettivamente con quanto verso al fine del terzo decennio del secolo aveva scritto il più grande mistico di quel secolo, Bernardo di Clairvaux, il quale contribuì con decisione alla nascita di quell'Ordine favorendolo con la sua autorevolezza e ne fece l'elogio in una lettera ch'è anche un piccolo trattato di teologia dei luoghi santi e della guerra, il Liber de laude novae militiae. Il Templare, dice ammirato il grande abate cistercense, non riposa mai; a differenza dei cavalieri mondani, superbi e lussuriosi, veste e mangia frugalmente, rifugge le comodità, prega e combatte senza posa, è un angelo e un agnello con i fratelli in Cristo e un leone furibondo contro gli infedeli. Come avrebbe reagito il santo monaco allo spettacolo dell'amicizia fra i «poveri cavalieri del Cristo» e quell'elegante emiro siriano la preghiera infedele del quale essi proteggevano? Sull'Ordine del Tempio, che fu sciolto d'autorità da papa Clemente V nel 1312 ma che (nonostante un processo inquisitoriale contro di esso intentato su impulso del re di Francia Filippo IV) mai venne condannato, esistono e convivono - alquanto male, del resto - una «leggenda rosa», una «leggenda aurea» e una «leggenda nera». La prima li vuole innocenti vittime dell'avidità di un re che voleva spogliarli delle loro ricchezze e della viltà di un papa che non osò difenderli. La seconda li dipinge come saggi, sapienti, integri, coraggiosi, detentori di arcani segreti e perfino arcanamente sopravvissuti alla soppressione e occultamente ancora presenti fra noi (a parte gli eserciti di vanitosi cacciatori di patacche e di furbastri venditori delle medesime che pretendono di esserne oggi i più o meno legittimi successori). La terza li vuole violenti, superbi, peccatori, sodomiti, avidi, amici dei saraceni e perfino eretici e - perché no, già che ci siamo? - necromanti.
Nessuna di queste leggende è del tutto gratuita: non esistono leggende che lo siano.
Ma quel che sappiamo di loro (ch'è molto, nonostante il permanere di molti misteri e chissà forse perfino di qualche vero segreto) ci fornisce un quadro lacunoso eppure nelle sue grandi linee abbastanza attendibile, e molto diverso da quelle fantasie e da quei malintesi.
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