Una farsa tragica intrisa di pessimismo

Quando Pirandello scrisse L'uomo, la bestia e la virtù forse non aveva ben compreso che attraverso la comicità dell'assunto aveva individuato tre caratteri fondamentali. L'Uomo ovvero l'intellettuale disarmato, la Virtù annegata tra le pareti domestiche, e la Bestia il marito tracotante che arrivava dal mare dove esercitava la professione di capitano di lungo corso. Pirandello aveva, quindi, superbamente ritratto ciascuno a suo modo i prototipi dell'Italietta. Con l'amante imbelle che profitta della signora ammogliata lasciata in ombra da un consorte prepotente. Ma l'autore non sarebbe tale se non giocasse al quadrato con questi stereotipi. Così la signora, tutt'altro che pentita, teme che il consorte la scopra incinta dell'amante, mentre il marito vuole solo adempiere a un dovere che definisce privo di senso. E la commedia si vela di consapevole crudeltà che punta tutto sul decoro esteriore mentre nell'ombra si celebra il tradimento di quegli istinti che a priori si ritengono sacri. Giuseppe di Pasquale firma un'ottima regia di asciutto nitore che non risparmia nessuno. In cui si evidenzia un Paolino impertinente cui Geppy Gleieses conferisce un asciutto languore carico di straripante ironia.

Una magnifica prova di interprete in cui anche Marianella Bargilli si inserisce con fremente tenerezza, e la Bestia incarnata con spirito da Marco Messeri disegna lo stolido contraltare di un maschio che non può che legittimare le corna che gli crescono sul capo. L'UOMO, LA BESTIA E LA VIRTÙ - Milano, Teatro Manzoni.

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