Andra Day deve il suo nome all'artista che più ha amato sin da bambina: Billie Holiday. L'anno scorso per l'interpretazione della famosa cantante ha ottenuto una candidatura agli Oscar. Il film che l'ha portata a un passo dal premio più importante del cinema è Gli Stati Uniti contro Billie Holiday, che esce in Italia il 5 maggio e che a febbraio ha vinto un Grammy per la migliore colonna sonora di un prodotto audiovisivo. Cassandra Monique Batie, questo il nome di battesimo dell'artista californiana, canta e recita sin da bambina. «È stato il mio insegnante di musica a farmi conoscere Billie Holiday ed è per questo che ho scelto Day come mio cognome d'arte. Billie Holiday infatti veniva chiamata anche Lady Day.
Dicono che Billie Holiday sia inimitabile, ma Andra Day è arrivata molto vicino alla perfezione nell'arte di interpretarla. E pensare che inizialmente aveva detto di no. «Un po' per una sorta di timore reverenziale nei confronti della mia artista preferita, un po' perché c'è già stato un film che ha raccontato di Billie (l'attrice si riferisce al drammatico La signora del blues del 1972, diretto da Sidney J. Furie, ndr) e Diana Ross, che l'aveva interpretata allora, è stata così brava che non vedevo cos'altro avrei potuto aggiungere io».
A farle cambiare idea è stato il copione del film diretto da Lee Daniels. Scritto da Suzan-Lori Parks, racconta un particolare momento della vita della cantante che, mentre collezionava successi in tutto il mondo, in patria veniva perseguitata con la scusa di una battaglia contro la droga. La vita difficile di Billie Holiday l'aveva infatti portata ad abusare di alcool e droghe ma le vere motivazioni dietro a veri e propri abusi di potere e atti persecutori, erano legate al tentativo di impedire alla cantante di continuare a eseguire la splendida e straziante ballata Strange Fruit, un vero e proprio manifesto di denuncia contro i linciaggi ai danni degli afro-americani nell'America del sud e un contributo essenziale alla lotta per i diritti civili degli anni '40. Holiday, nonostante i tentativi di zittirla, continuò a cantare la sua canzone di fronte ad un pubblico composto anche di bianchi. La polizia la fermò più di una volta, portandola via di peso dal palco. «Venne definita la madrina dei diritti civili e lo fu, quando ho letto la sceneggiatura ho capito che anche io dovevo fare la mia parte. Dovevo portare al pubblico il racconto del suo attivismo e di cosa dovette subire per aver osato sfidare il sistema. Ho capito presto che avrei dovuto - e che volevo - essere la sua voce».
C'è stata anche una trasformazione fisica importante. «Ho fatto come faceva lei, ho smesso di prendermi cura di me stessa e della mia voce. Non ho mai fumato o bevuto, ma per il film ho iniziato a farlo. Naturalmente solo per il tempo di girare. Poi niente sciarpe o tisane, solo bevande fredde e qualche urlo, per arrochire la voce, renderla più simile alla sua. Ho perso peso, anche. Sembra una tortura, odio parlarne perché mi pare di farla troppo tragica, ma non è stato facile. Detto questo è stata anche l'esperienza più esaltante della mia carriera professionale, non c'era una parte di me che non si fosse trasformata in lei».
La vita di Billie Holiday non fu felice, per le sue debolezze ma anche per le persecuzioni del governo americano, impegnato allora in una severa segregazione razziale. «Bille Holiday morì di cirrosi epatica ma morì perché c'era chi la voleva morta dice l'attrice cercavano le sue debolezze e le sfruttavano. Lei voleva disintossicarsi e loro le facevano trovare l'alcool o la droga. Eppure era una leonessa, una lottatrice, che cantava di linciaggi a un pubblico di bianchi, quando farlo era davvero pericoloso».
Billie Holiday influenzò anche la moda del tempo. «Ho apprezzato l'attenzione che il regista, Lee Daniels, ha messo anche in questo aspetto della personalità della Holiday continua . Billie indossava capi costosi, indossava pellicce, e questo dava fastidio ai benpensanti di allora, per i quali un nero doveva avere sempre un aspetto dimesso, sembrare una cameriera, o un operaio. Anche in questo Billie Holiday sfidava i preconcetti e i pregiudizi.
Anche la moda può essere politica».Andra Day è così appassionata perché lei stessa è un'attivista. Nel 2015 è uscita la sua canzone Rise Up che è nel tempo diventata l'inno della moderna campagna per i diritti civili negli Stati Uniti.
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