A quarantaquattro anni da Halloween, capolavoro di John Carpenter, continuano a nascere titoli che ne sono un’emanazione. L’odierno, “Halloween Kills”, presentato fuori concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, è il secondo capitolo di una trilogia firmata da David Gordon Green, che con il suo nuovo “Halloween”, reboot di tre anni fa, si ricollegava direttamente al capostipite del 78. Costato appena dieci milioni di dollari, ne aveva incassati 255 in tutto il mondo dimostrando che il franchise è vivo più che mai e può contare ancora su un’icona come Jamie Lee Curtis, eterna co-protagonista, nei panni di Laurie Strade, al cospetto della quintessenza del male, il killer Michael Meyers.
Per quanto l’attrattiva di storia e personaggi sia intatta, purtroppo il nuovo film è poco più che una trappola da botteghino: i fan dell’horror splatter troveranno soddisfazione ma, in due ore di girato, a livello narrativo succede poco o nulla. Caotico e grossolano, “Halloween Kills”, al netto di delitti atroci che vengono perpetrati con modalità ingegnose, ha una ripetitività che si traduce in momenti di noia. Inoltre, è richiesto un totale affidamento alla sospensione dell’incredulità, cosa che non viene naturale se non in itinere.
Il racconto riprende dall’ultima scena del film precedente. Nella notte di Halloween, Laurie, sua figlia Karen (Judy Greer) e la nipote Allyson (Andy Matichak) hanno lasciato Michael Meyers intrappolato e avvolto dalle fiamme nello scantinato di casa e pensano che sia finalmente morto. Laurie, portata d’urgenza in ospedale perché gravemente ferita, scoprirà a sue spese che invece l’incubo non è finito. L’uomo nero è sopravvissuto ed è pronto a continuare il suo rituale bagno di sangue.
Appetibile la presenza di flashback che riportano esattamente a quando tutto ebbe inizio, ossia alla notte delle streghe che vide la genesi, nella cittadina di Haddonfield, dell’interminabile partita tra il bene e il male. Ai nostalgici farà piacere ritrovare nel film, in versione invecchiata, alcuni storici personaggi del primo (in certi casi interpretati dagli attori originali), gente che ha ancora i segni di cosa sia stato, 40 anni prima, sfuggire al male per un soffio.
La svolta corale ha senso come variazione sociologica di una sinossi tutto sommato sempre uguale a se stessa, ma è pur vero che lasciare così in disparte la figura della protagonista, Laurie, si ritorce contro, minando l’alleanza emotiva che lega il fan alla saga.
A riempire la scena come antagonista del mostro, a questo giro, non è lei ma la comunità di Haddonfield. Dopo decenni in cui è stata avvolta in un terrore paralizzante, la città, in qualche modo, è diventata della stessa sostanza di Michael Myers. Il confine nitido tra l’assassino e le potenziali vittime è venuto meno. Gli abitanti del posto hanno perduto l’innocenza e sviluppato disturbi psicogeni cui cercano antidoto nella vendetta, anche alla cieca. “Halloween Kills” rende bene l’idea di cosa alimenti una folla inferocita, formata da individui che, perso il senno e armi in pugno, sono pronti a sacrificare chiunque pur di provare sollievo. Infettati da panico, furia e voglia di farsi giustizia da sé, si impegnano in una grande caccia all’uomo che però diventa una “caccia alle streghe” nel senso di espressione di isteria di massa.
Come se non bastasse, quello di Meyers è un male incarnato ma, a questo punto, anche trasceso: non c’è logica o legge fisica cui debba sottostare. Poiché è intrinseco all’uomo e quindi alla società, sembra dire Green, è sempre esistito e sempre esisterà. Dunque non può essere sconfitto, ma solo inglobato. Relegarlo dietro una maschera è solo il modo di oscurare lo specchio in cui ognuno potrebbe scorgere traccia del proprio volto.
Non solo è interessante la riflessione sulla capacità infettiva del male e sulla sua
immanenza sovrannaturale, ma la disamina in controluce di come si possa tenere in ostaggio un’intera comunità. Viene da dire che ogni riferimento a fatti o populismi della nostra contemporaneità non sia casuale.
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